Complice il virus, ieri in molti eravamo davanti allo schermo ad ascoltare Alex Osterwalder. L’autore di Business Model Generation e l’inventore del Business Model Canvas. Annunciava il nuovo libro in uscita ad aprile e ci dava qualche anticipazione. Ci ha dato anche un’idea del momento che vive il movimento del Lean Startup. Provo a riassumere gli aspetti che mi hanno più colpito.
Il grado di maturità del Lean Startup
Sulla scia dei lavori di Steve Blank ed Eric Ries, Alex Osterwalder e Strategyzer hanno dettato il ritmo dell’evoluzione metodologica dell’approccio all’innovazione cui ci riferiamo con il termine Lean Startup.
Il tributo iniziale a Steve Blank è dovuto e non manca nelle parole di Alex.
Ha per primo introdotto l’idea di testare i business model
Si nota subito. C’è una nuova narrazione che Alex Osterwalder da qualche tempo ci propone. Si nota un’evoluzione dell’approccio del Lean Startup. Era partito focalizzato sulla gestione di un’idea di business. In particolare sulla riduzione del rischio nel suo sviluppo.
Oggi molto si sposta verso il governo di un portafoglio articolato di idee e business model che stanno tra loro in una relazione dinamica.
Concentrarsi sul successo del singolo caso rischia di essere l’approccio peggiore perché dimentica una visione più complessiva dell’insieme di opportunità che si hanno davanti. In uno degli ultimi post avevamo visto l’opinione di Steve Jobs su questo tipo di scelte.
L’innovazione Lean alla portata di tutti
C’è un aspetto evidentemente risultato delle frequentazioni importanti di Strategyzer. General Electric, Bosch, Logitech e altri esempi citati anche ieri spostano la sfida su altri livelli. Eppure non manca la volontà di presidiare aspetti fondamentali anche per le piccole realtà e le nuove iniziative di business.
Il Lean Startup tradirebbe le sue origini e la sua visione se non cercasse di bilanciare la funzione innovatrice delle startup con quella delle grandi organizzazioni.
Ecco allora un approccio sistematico pieno di strumenti e metodologie che si adattano sia alle nuove iniziative di business sia all’evoluzione delle organizzazioni consolidate.
Ma quindi cosa sono queste aziende invincibili?
Tre sono gli aspetti che caratterizzano le aziende invincibili.
- Hanno una “cultura del giorno 1”. In ogni momento è come se fosse la prima volta. Ci si reinventa non sentendosi mai arrivati. E questo passa attraverso una chiara gestione del portafoglio di opportunità di business.
- La competizione non è centrata sui prodotti, i servizi, la tecnologia e le soluzioni, ma sui business model, con l’articolato insieme di aspetti che li caratterizzano. Dalla feature tecnica al bisogno del cliente, dal modello di monetizzazione alle logiche distributive, dal motore della crescita alle iniziative di comunicazione e così via.
- Sfidano e superano costantemente le frontiere del settore. Amazon non si è limitata a vendere prodotti online. Fuji Film non vende solo film. Apple non vende solo computer e software.
Tutte le cose interessanti avvengono ai confini dei sistemi
Vinod Khosla
Una citazione che piacerebbe a Roberto e agli Italiani di Frontiera.
Il Lean Startup in cinque passi
Alex Osterwalder articola il discorso in cinque passaggi.
- Portfolio
- Gestione
- Invenzione
- Miglioramento
- Cultura
1. Lean Startup e Portfolio
Come già detto, il primo aspetto sottolineato è che oggi l’innovazione assomiglia a una buona coreografia. Un balletto i cui protagonisti sono le idee di business.
All’interno di questo frame, sono però da distinguere le due aree.
Una è quella Exploit. È quella in cui si gestiscono business model e idee già sul mercato. L’obiettivo è migliorare (Improve). Si tratta di governare il bilanciamento tra ritorno economico e rischio di veder finire il mercato e il successo dell’idea. Un po’ ricorda le elaborazione della BCG matrix.
L’altra è quella dell’Explore. Qui si crea qualcosa di nuovo (Invent). Il premio finale è passare nell’altra mappa. Il bilanciamento è tra ritorni attesi e rischi dell’innovazione.
In qualche modo è un percorso che passa dalla Ricerca e giunge alla Crescita. La consapevolezza di operare contemporaneamente sulle due aree è decisiva per le aziende strutturate. Ma anche per le startup che devono darsi l’obiettivo di cambiare mappa senza rimanere perennemente nella fase di esplorazione.
Qua Alex Osterwalder si espone dichiarando qualche numero. Chiede quante idee da 100.000 dollari servono per produrre un super successo. Dà anche una risposta. 250. Duecentocinquanta.
Propone un funnel che converte i 250 progetti in 87 di medio successo e 1 di grandissimo successo. 162 sono destinati a fallire.
I numeri non danno molte speranze, per chi non si accontenta (ma perché non farlo?).
Il fallimento può essere l’inizio di qualcosa di stupendo
Ayse Birsel Seck
È una bella citazione che però è vera solo se la cultura del fallimento si lega al metodo scientifico. Solo questo può trasformare il fallimento in un esperimento da cui ricavare informazioni interessanti. Se non si è guidati da queste intenzioni, il progetto fallito diventa solo la base per ulteriori errori.
2. La gestione e le premesse
La gestione di queste matrici che guidano il percorso di validazione e crescita dei modelli di business è garantita da un altro aspetto. La consapevolezza forte dell’identità aziendale. L’imprenditore e il manager devono comunicare tre aspetti che definiscono il senso stesso dell’azienda e dei suoi progetti.
- Direzione strategica. Dove vogliamo andare?
- Cultura organizzativa. Il governo delle nostre risorse
- Immagine di brand. Come vogliamo essere percepiti?
Non mi soffermo molto su questa parte che merita altri approfondimenti. È chiaro però che questi aspetti sono propedeutici a tutto il resto. Valgono considerazioni fatte parlando di OKR.
In ogni caso serve tempo dedicato a ragionare su tutto questo e i CEO, secondo Alex, dovrebbero dedicarvi il 40-50% del loro.
I casi di Logitech e Unilever raccontati nella presentazione sono in questo senso molto interessanti.
Lo strumento chiave in questa fase è l’Innovation Project Scorecard.
Le evocazioni del Design Thinking sono evidenti.
3. Creare un Business Model secondo il Lean Startup
Entriamo così nella prima delle due mappe. Invent.
Siamo nel classico ambito del Lean Startup. Non riprendo tutti gli aspetti raccontati da Alex Osterwalder, ma noto l’idea di cercare pattern utili a individuare nuove idee.
In questa fase la capacità di individuare analogie non scontate con altri business model, magari ben sviluppati in settori diversi dal nostro, è essenziale.
Salire sulle spalle dei giganti. Ma anche sorreggersi su altri di altezza normale.
Individuare situazioni replicabili, trasferibili in un contesto diverso. Come nel caso del cannocchiale di Galileo, rivolto alle stelle anziché all’altezza del mare per scorgere navi e imbarcazioni.
Qui gli strumenti sono più culturali e un framework di self assessment come quello di Strategyzer può essere utile.
4. Miglioramento e gestione degli attuali business model
Ciò che rende tutta l’impostazione di Alex Osterwalder più evoluta rispetto al tradizionale approccio del Lean Startup sta qua. Nella capacità di integrare la gestione dell’innovazione con il miglioramento dell’esistente. La seconda mappa (Exploit) governa il business esistente.
In questa area bisogna continuare a leggere business model alternativi. Sovrapporre gli attuali con quelli possibili. Magari accorgersi che costruire telefoni dà meno opportunità rispetto alla gestione di una piattaforma di applicazioni. Il caso di Apple è facile e a dire il vero un po’ scontato.
Sul tema dei brand piattaforma c’è da leggere il libro di Alberto Maestri. Ne ho parlato qua. E qui il sito di Alberto.
5. La cultura nel Lean Startup
Nel finale Osterwalder si sofferma su un aspetto cruciale. Quello della cultura.
La riconduce a una questione di “prontezza”, ma il nostro termine non traduce bene il vocabolo. In inglese si nasconde anche una volontà e una propensione che in italiano forse manca un po’.
L’Innovation Culture Readiness racconta questa attitudine verso la gestione di un processo esplorativo e di sviluppo come quello descritto.
Anche in questo caso ecco uno strumento operativo, in pieno stile Strategyzer.
Conclusioni
La presentazione del nuovo libro di Alex Osterwalder è stata l’occasione per fare il punto sul movimento del Lean Startup. Uno dei suoi esponenti più autorevoli ha cercato di redifinirne i confini. Lo ha fatto provando a costruire un approccio che sposa grandi e piccoli, aziende consolidate e nuove startup.
La lettura del libro consentirà di capire se la sfida è vinta. La sensazione è che non sia banale gestire i due contesti. Serve uno sforzo culturale sia in una direzione che nell’altra.
Nel caso delle nostre aziende abbiamo visto come l’adozione della piattaforma del Lean Startup sia stata spesso utile per rimuovere quella farraginosa cultura del Business Plan che bloccava tanti tentativi di innovazione.
La prossima sfida sarà spostarsi a livello di portafoglio di idee complementari e qua si gioca il futuro dell’applicazione dell’approccio nel nostro contesto.
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