Perché gli OKR falliscono?

Le metriche e gli OKR per guidare il business

Scrivendo La trappola del Business Plan ho affrontato il tema OKR con grande circospezione.

Venivo da esperienze aziendali negli ambiti del controllo di gestione, della qualità, del marketing e del lean management. Sapevo che parlare di indicatori e sistemi di misurazione era un tema complesso pieno di insidie e rivoli divergenti.

Eppure quasi tutti gli imprenditori con cui ho parlato mi hanno spinto ad approfondire le logiche di “controllo” del loro business. Se nel libro dovevo maltrattare la programmazione, non potevo non considerare il modo in cui decidevano metriche e risultati. Due casi in particolare richiedevano di approfondire gli OKR di matrice Google.

John Doerr, "inventore" degli OKR
John Doerr, “inventore” degli OKR

Gli OKR al centro del percorso di innovazione

Avevo un po’ accantonato la questione. Di metriche avevo già scritto qua. Poi ho incontrato Andrea De Muri, sempre stimolante nelle sue riflessioni attorno alle metodologie per gestire i processi di innovazione.

Mi invitava a riconsiderare la questione delle metriche e degli OKR. In giro non tutti hanno inserito in modo fruttifero un tema così importante nei processi di cambiamento e innovazione. A quel punto ho considerato le diverse criticità di cui mi avevano parlato i miei interlocutori al tempo del libro. E ho fatto due più due.

C’era un punto mancante nei diversi tentativi cui ho assistito nell’introduzione degli OKR. E questo post cerca di raccontarlo.

Ma devo premettere alcune cose.

I dati non servono (solo) a prendere decisioni

Partivo da un riferimento chiaro: “You get what you measure”. Ottieni ciò che misuri. Le metriche non solo misurano il comportamento, ma lo determinano. È una di quelle celebri frasi che potrebbe aver detto Peter Drucker. Non l’ha detta lui, ma poco importa. E proprio il guru del management ha molto a che vedere con la cultura aziendale sui dati.

Peter Drucker

Se si pensa che il dato debba essere alla base delle decisioni, non ci si sbaglia troppo. Ciononostante qualche decennio di economia comportamentale ci ha insegnato a non fare troppo affidamento sui dati quando si tratta di comportamenti umani. E nelle aziende moderne, che si parli di clienti o di collaboratori, si parla sempre di esseri umani.

Possiamo quindi leggere un’altra funzione dei dati e delle metriche. Quello di attivare dei comportamenti. Gli OKR nascono dall’esperienza Intel proprio per attivare un percorso di cambiamento radicale e rapido allineando il comportamento e il focus di tante persone. Tempi stretti, risultati ambiziosi, poche possibilità di coordinamento.

È tutto ben raccontato proprio nel libro di John Doerr che spiega molti dettagli della metodologia.

Tutto sembra lineare e sensato. La via per l’utilizzo degli OKR sembra lastricata d’oro. Eppure, come dicevo, spesso chi prova a introdurli in azienda, si trova di fronte a qualche difficoltà.

Per capire come far funzionare un approccio di questo tipo, non possiamo non far riferimento ad altri che hanno tracciato il percorso fin qui. In tutti quelli cui accennerò, non si trattava di focalizzarsi sulle misure, ma sull’interfaccia che permette di accedere ai dati. Era importante approfondire i meccanismi di analisi, condivisione e discussione.

Se è vero che “ottieni ciò che misuri”, ciò è possibile solo se le informazioni sono diffuse in modo adeguato. Soffermarsi sul dato e sulla sua precisione può essere un errore.

Vediamo alcuni approcci che lo dimostrano.

Lean Thinking

Il mondo del Lean Thinking ha fatto, fin dai tempi del TPS di Toyota, un profondo affidamento al metodo scientifico. Misurare lo stato corrente (As Is) attraverso metriche adeguate era la premessa alla definizione dello stato futuro (To Be) cui puntare. Questo avviene in un processo di miglioramento continuo fondato sulla misurazione di KPI e metriche.

Pensiamo allo strumento principe del Problem Solving nel Lean Thinking: l’A3. Quel foglio in cui sintetizziamo i diversi passi di un progetto di miglioramento. Si basa su un ciclo PDCA di pianificazione, esecuzione, controllo e ripartenza. E i dati sono al centro. La misura del gap tra quello che vorrei e quello che oggi ottengo sta alla base dell’analisi delle cause radice di un problema.

E, visto che è meglio avere dati anche non precisi, che non averli, vale l’espressione “quick and dirty” per descrivere le caratteristiche di dati che devono essere nelle mani di chi opera nel campo (Gemba). Risalta chiaramente una visione dei dati come guida e base per il coinvolgimento attivo delle persone.

Nonostante l’accento posto sul metodo scientifico, risulta fondamentale comprendere come il dato possa stimolare ingaggio e impegno delle persone.

Anche l’Hoshin Kanri, il Barashi, la Value Stream Mapping e altro armamentario Lean ha il dato al centro. E che dire degli strumenti più recenti introdotti dai Lean startupper. Pensiamo al Lean Canvas di Ash Maurya. Proprio nell’adattare il Business Model Canvas a un processo di Problem Solving, Ash inserisce la casella delle Metriche.

Lean Canvas
Lean Canvas

In tutti i casi le metriche sono solo uno strumento per attivare un processo di Problem Solving che agisce sui comportamenmti delle persone.

Balanced Scorecard

Le Balanced Scorecard di Kaplan e Norton sono state un approccio che ho utilizzato con soddisfazione nelle mie esperienze manageriali. Anche in questo caso si trattava di estendere il dominio delle metriche. Da un tradizionale Controllo di Gestione centrato su dati economico-finanziari ad altri ambiti del management. I Processi, i Clienti, la Crescita e l’Apprendimento dell’azienda.

Il Controllo diventa in questo modo supporto e orientamento del management. Da presidio e reazione rispetto a quanto non segue i piani ci si muove verso dati che aiutano alle decisioni in contesti complessi e variabili.

Nella mia esperienza però il puro emergere di queste metriche estese non permetteva di cambiare il comportamento delle persone. In effetti l’ingrediente mancante l’ho scoperto solo dopo.

Balanced Scorecard

MBO, il “management by objectives” di Peter Drucker

Ovviamente non si può esaminare il campo dell’applicazione delle metriche nel management senza citare l’MBO. Il Management by Objectives di Peter Drucker. Non mi soffermo troppo e mi limito a dire che il suo stesso propugnatore metteva in guardia su alcuni aspetti distorsivi di un’attenzione troppo acritica ai numeri.

Può portare alla polarizzazione degli sforzi e quindi a persone o dipartimenti non motivati a guardare oltre i propri obiettivi e ad aiutare gli altri

La polemica di Deming sull’inascoltata richiesta di mantenere una visione sistemica fatta proprio da Drucker conferma i limiti di un’applicazione troppo stretta del metodo. Invece di aggregare e allineare, si fa esplodere una serie di comportamenti specifici e divergenti.

Processo MBO
Processo MBO

L’ingrediente mancante agli OKR

Torniamo agli OKR. Sono figli di tutte queste esperienze manageriali e vogliono essere un aiuto a coinvolgere in maniera profonda tutti i collaboratori dell’azienda. Hanno il grande merito di una semplificazione del processo di creazione degli obiettivi.

Non si punta a un sistema a cascata che dall’obiettivo centrale si distribuisce a tutto il team. Vuole piuttosto essere un modo per far “prender in carico” l’obiettivo generale a ognuno. L’idea è che ogni persona possa cogliere l’obiettivo dell’azienda e tradurlo in un proprio obiettivo coerente e trasparente. E ogni obiettivo poi deve essere tradotto in Risultati Chiave misurabili e con un orizzonte ristretto di tempo per raggiungerli.

Il Ciclo OKR
Il Ciclo OKR

Tutto bene? Sì, ma anche no. Se da una parte è un approccio che amo e che obbliga a miscelare responsabilità dei leader e impegno dei collaboratori, dall’altra è mancante di quel carattere rituale che solo può far accendere la collaborazione tra le persone.

Questo si esplicita al meglio in un motore PDCA che trasforma gli Objectives in un processo di Problem Solving ritualizzato.

PDCA

Per intenderci, nei testi e nelle applicazioni di successo, questo strato organizzativo non manca. Il problema è nell’adozione da parte di chi non considera l’elemento collaborativo. Non basta costruire modelli di feedback e retrospettive come quelle descritte nello schema sopra.

Il rischio dell’OKR è di diventare rapidamente un’abitudine burocratica. Se si dedica troppo spazio al software e alla gestione delle relazioni tra obiettivi e risultati, si perde di vista il vero obiettivo. Cioè quello di far lavorare le persone insieme in un percorso progressivo di apprendimento e consapevolezza.

Conclusioni

John Doerr lo spiega molto bene nel suo libro, ma è una parte che forse, dove manchi la consapevolezza su tutte le sfaccettature del management, rischia di non essere colta.

Al centro di ogni sistema di misura sta la persona. Persona che deve essere la protagonista del sistema e non il fine.

Un sistema di controllo che non attivi l’impegno delle persone attorno a un ciclo progressivo di Problem Solving non è la soluzione migliore. Rischia di essere corretto nel cogliere gli aspetti chiave del business, ma di non essere in grado di determinare un’evoluzione e un percorso coerente nella crescita del team.

E questo porta inevitabilmente a perdere il focus sul perché stesso degli OKR. I rituali, di cui ho spesso parlato quando mi sono occupato di metodologie per la collaborazione, hanno la capacità di evitare di cadere in un utilizzo abitudinario e burocratico della metodologia.

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By stefanoschiavo