“Immaginate che gli Stati Uniti si stiano preparando allo scoppio di un’insolita malattia asiatica che si pensa ucciderà…”
È il 1981 e così inizia uno dei più famosi esperimenti mentali di Daniel Kahneman e Amos Tversky. Queste ricerche varranno il Nobel. Ancor più saranno alla base di quella rivoluzione nella scienza economica che si chiama economia comportamentale.
Vista l’attualità del tema, ne approfitto per raccontarlo meglio e inquadrarlo nella più generale Prospect Theory. I due avevano già aperto la ricerca psicologica al tema delle euristiche e dei bias, ossia di quelle scorciatoie che ci consentono di prendere decisioni intuitive e veloci. Riconosciamo pattern già visti e agiamo rapidamente. Ma spesso questo porta a delle fallacie a volte anche molto gravi. La razionalità insomma non è più posta al centro delle decisioni umane.
Una rivoluzione nell’economia
Il tema diventa pesante quando i due rivolgono l’attenzione verso il campo economico dove, al di là di alcuni brillanti precursori, dominava una visione molto razionale dell’agire umano. L’homo economicus prevaleva. La massimizzazione dell’utilità attesa era il mantra per definire le aspettative di azione da parte degli attori del mercato.
Ma siamo già agli anni 2000.
Torniamo indietro a quell’esperimento del 1981.
Immaginiamo che il virus possa fare, nelle attese degli scienziati, 600 morti. Pensiamo di avere due alternative.
Programma A: se lo adottiamo salviamo 200 persone.
Programma B: se lo adottiamo c’è il 33% di possibilità che si salveranno 600 persone e il 66% che moriranno 600 persone.
Quale programma scegliamo?
Senza sapere molte altre cose che ci sarebbero utili nella scelta, probabilmente, seguendo la maggior parte delle risposte, sceglieremmo il programma A. Andremmo sul sicuro. Salviamo 200 persone e non prendiamo rischi.
Per i tecnici e gli appassionati di probabilità, le due alternative avevano lo stesso risultato atteso.
Ora consideriamo una seconda versione.
Immaginiamo che il virus possa fare, nelle attese degli scienziati, 600 morti. Pensiamo di avere due alternative.
Programma C: se lo adottiamo moriranno 400 persone.
Programma D: se lo adottiamo c’è il 33% di possibilità che nessuno muoia e il 66% che moriranno 600 persone.
Quale programma scegliamo?
Avrete già capito che il programma A ha gli stessi risultati del programma C e che il programma B ha gli stessi del D. Eppure, raccontato il tutto in maniera diversa, la tendenza prevalente negli esseri umani è quella di scegliere l’alternativa D. Ci prendiamo dei rischi, perché vogliamo evitare di perdere quelle 400 vite.
Framing e scelte economiche
Da qui nasce il tema del framing. Mostrare e impostare un problema dando un’idea di guadagno (gain) anziché di possibile perdita (loss) cambia la propensione al rischio. Anche se razionalmente le alternative sono le stesse.
Tra le altre cose da queste ricerche emerge questo famoso grafico che mostra l’asimmetria nella propensione a prendersi rischi se siamo di fronte al rischio di perdere qualcosa o all’opportunità di guadagnare qualcosa. In altre parole spiega la nostra spiccata avversione alla perdita (loss aversion).
Può questo avere a che fare con la nostra reazione al coronavirus?
Lascio ai lettori la risposta.