L’insostenibile schizofrenia di un’industria sostenibile

Sei entrato in autostrada, hai superato il casello. Ti sei inserito nella corsia giusta. Proprio quella che fa per te. Corri alla tua velocità. E sfrecci nella giusta direzione, al giusto ritmo di musica che suona alla radio. Davanti a te qualche centinaio di chilometri che passeranno rapidi. 

Ma no. Devi fermarti.

C’è un distributore alla prossima area di sosta che ha un carburante senza emissioni. Potrai fare almeno trenta chilometri senza inquinare. C’è solo questa volta! Fermati e riempi con quello che puoi. E poi riparti. 

Ma perché non ti fermi? Perché rimani in quella corsia e continui a correre? È un’occasione unica… Qua alla stazione di servizio ti stiamo aspettando…

Un’economia dell’eccezione

Troppo spesso l’economia circolare è un’economia dell’eccezione. Abbiamo recuperato del materiale dal cantiere e potremmo usarlo la prossima volta. Abbiamo raccolto i prodotti a fine vita dai clienti e vediamo cosa possiamo farne… 

E si chiede così al progettista e all’operaio di fermarsi. Di provare a recuperare quel materiale. Per questa volta.

E persone che hanno dedicato tutti i loro sforzi a costruire modelli di progettazione standardizzati e ripetibili, flussi di lavoro efficienti e cadenzati, si sentono dire di interrompere le operazioni. E di pensare eccezionalmente a un utilizzo intelligente di materiale di recupero. 

Un’economia dell’interruzione

L’economia circolare è spesso un’economia dell’interruzione. 

Per questo l’economia sostenibile va fatta “by design”. Il recupero circolare del materiale e delle sostanze a fine vita fa parte del progetto di prodotto, non della buona volontà di un momento eroico ed eccezionale in cui tutte le regole dell’industria vengono stravolte. 

Senza questo sforzo sarà una richiesta di schizofrenia in cui si pretende una convivenza forzata tra un’efficienza da terza corsia a 130 e un’attenzione improbabile a qualche occasione del giorno alla stazione di servizio…

By stefanoschiavo