Guidare un Design Sprint a Shanghai non è da tutti i giorni. Le regole dell’approccio all’innovazione made in Google si sanno. Ma gli insegnamenti che nascono dalla relazione diretta con manager internazionali e in particolare cinesi è davvero ispirante. Approcci diversi alla costruzione di significato, all’analisi del contesto, all’elaborazione di nuove idee. Provo a sintetizzare alcune lezioni che ho appreso e a sviluppare considerazioni. Il rischio di euristiche della disponibilità è elevato, ma provo a non generalizzare troppo.
Creatività e innovazione
Le regole del Design Sprint sono consolidate. Cinque giorni di confronto attraverso un percorso strutturato di convergenza e divergenza alternate fino alla costruzione di un’idea testabile subito. Maestro in questo Andrea De Muri che ha sviluppato una versione originale, ma fedele allo spirito del metodo nato in Google. Ha così progettato l’intervento che abbiamo poi condotto insieme.
Non racconterò quanto avvenuto con i manager cinesi che hanno partecipato al workshop perché sono informazioni ovviamente riservate. Provo però a dare qualche indicazione su alcuni aspetti che mi hanno colpito e che descrivo nei prossimi paragrafi.
Creatività e approccio visuale
Un passaggio che mi colpisce molto, quando lavoro con Andrea, è la sua tendenza a spostare l’asse del ragionamento da una dimensione a un’altra più astratta. Nella creatività c’è sempre una capacità di salto di livello logico di cui quasi mai è consapevole l’innovatore. Si può costruire allenandosi. Un libro che ne parla diffusamente e che mi ha sempre colpito è Change: Principles of Problem Formation and Problem Resolution di Paul Watzlawick, John H. Weakland, Richard Fisch, Milton H. Erickson e Bill O’Hanlon.
Conosciamo tutti il giochino dei nove punti da unire con quattro segmenti contigui. Rimaniamo incastrati in quel quadrato che ci siamo immaginati solo noi. Nessuno ci impediva di uscirne, ma proprio non ce la facciamo…
Ecco. Andrea ti allena con vari esercizi e giochi a uscire da quei nove punti. E di solito funziona al meglio quando ti porta, coerente con l’approccio “design driven” a utilizzare la rappresentazione grafica. E qui per me c’è stata la prima sorpresa. I cinesi non ce la facevano.
Ok erano ingegneri, ma anche gli altri partecipanti internazionali lo erano. Di fronte alla richiesta di disegnare un’idea si bloccavano. Scrivevano, parlavano, discutevano e si appassionavano. Ma disegnare no.
Avevo una serie di idee sulla propensione per il pensiero visuale in Cina. Sono state spazzate via da quella giornata. Mi hanno poi detto di non confondere Cina e Giappone. E in effetti all’approccio visuale made in Japan sono molto abituato tra Lean Thinking e dintorni. I cinesi non crescono sollecitati a un pensiero creativo divergente. Anzi hanno una tendenza spiccata verso un profondo approccio analitico. Così mi hanno raccontato e così in effetti ho sperimentato.
Analysis Paralysis
Veniamo così al secondo punto che, a rischio di generalizzazioni inopportune, mi preme esprimere. I partecipanti si sono dimostrati incredibilmente bravi. Capaci di analisi profonde e ricche di spunti. In grado di aprire prospettive nuove a problemi ormai letti in tutte le dimensioni.
Forse però questo era il loro limite. Cui abbiamo sopperito. La prolissità e la propensione a una programmazione molto dettagliata rischia di bloccarli in una Analysis Paralysis che tocca spesso le risorse più capaci e precise. La Sindrome di Pigmalione che ho più volte descritto è dietro l’angolo. Analisi eccellenti che non portano a test immediati.
Mai come in questa circostanza il “Get out of the building” di Steve Blank sta bene. Il Design Sprint orienta a una prototipazione veloce che sposta le idee dai post-it delle nostre sale riunioni al confronto aperto sul mercato. E questo serve dove tecnologia e approccio scientifico prevalgono.
Il merito del metodo
Infine una nota sul metodo e sulle sue potenzialità. Mi avevano raccontato di una forte resistenza al confronto aperto tipico della cultura organizzativa cinese. Nessuno avrebbe parlato prima del proprio capo. Nessuno si sarebbe sbilanciato in idee fuori dal coro. Avremmo avuto una difficoltà estrema all’ingaggio del team.
Invece no. I partecipanti hanno dimostrato un entusiasmo e un impegno straordinari. E hanno più volte manifestato la loro propensione a costruire rapporti relazionali prima ancora che a parlare di tecnologie e strumenti. Anzi. Questa propensione al dialogo, al confronto anche serrato, alla passione sul tema in discussione è stata uno dei loro maggiori contributi. Figlia di un’idea forse “mercantile” del business, ma con corde che si legano al nostro spirito mediterraneo. Ancora una volta un ponte culturale da sfruttare sulla scia di Marco Polo 🙂
In questo sta anche il merito del Design Sprint hackerato. Abbiamo aggiunto qualche passaggio di confronto dialogico che ha indotto e costretto i partecipanti a esporsi. Tra metodi di ispirazione Delphi e qualche trucco da psicologia comportamentale, abbiamo fatto nascere un percorso acceso e creativo che ha prodotto ottimi risultati. La costruzione dell’Innovation Matrix è stata particolarmente interessante in questo senso.
Conclusioni
Possiamo affermare con convinzione che, in presenza di un ambiente culturale adatto, un approccio come il Design Sprint con qualche twist made in Sharazad funziona davvero bene.
Si pone in un ambito a cavallo tra il Design Thinking più aperto e un Agile management strutturato. Sta dalle parti del Lean Startup. In una fase di ideazione e validazione di idee di business. Non dimentica di divergere e aprirsi a spazi sconosciuti. Non scorda nemmeno di portare velocemente a terra le idee in un percorso progressivo di validazione. Da ripetere.