Gli ultimi mesi mi hanno portato come docente davanti a numerosi esperti, manager e innovatori. Argomenti diversi, ma complementari. Lean Thinking e Change management. Design di spazi e contesti adatti all’innovazione. Agile management e Design Thinking. Lean Startup e rituali organizzativi. E molto altro.
Devo ammettere che La Trappola del Business Plan, libro appena pubblicato, mi ha aiutato a diffondere una certa visione dell’impresa e delle sue dinamiche di mercato e organizzative. Una visione che ho sviluppato in anni di esperienze e studi.
Qualcosa però non mi tornava. Mi sono interrogato a lungo sul significato della didattica generando più domande che risposte. In questo post provo a fornire qualche spunto di riflessione per chi costruisce momenti di formazione ai tempi di Youtube.
Lezioni inutili?
Le prime domande sono in qualche modo scontate.
Che senso può avere un’esperienza d’aula con un docente che spiega dei concetti che possono essere trovati comodamente online? Che valore viene da un professionista in cattedra quando l’autore dei contenuti veicolati a lezione è disponibile in Rete con un bel video di Youtube? Quale utilità ha oggi un corso in una business school o una formazione in qualche contesto progettato appositamente?
Le risposte mi sono venute considerano l’dea di Retromania e, come spesso avviene, leggendo Richard Sennett. Andiamo per ordine.
Vietare Wikipedia
Viviamo in un contesto che ci permette un accesso rapido al passato. I rapporti con gli avvenimenti storici si sono modificati. Posso vedere comodamente un video di qualcosa avvenuto nel passato recente. Tornando indietro trovo rapidamente informazioni su fatti trascorsi da tempo. Fotografie, testi, libri, video.
Recentemente, in un weekend con amici, abbiamo deciso di vietare fino al lunedì successivo l’utilizzo di Wikipedia. Nessuno avrebbe potuto verificare informazioni o opinioni emerse durante il viaggio. Una versione particolare di Digital Detox che impediva la risoluzione di dubbi e discussioni troppo immediata. Il risultato è stato quello di aver acceso un confronto molto più profondo. E dall’altro di aver lasciato i diversi dubbi alla Lindy’s Law ben descritta da Nassim Taleb in Skin in the Game. In effetti al lunedì la maggior parte si è persa nell’oblio.
Youtube e la Retromania
L’accesso troppo facile al passato ci rende leggeri e superficiali. La Retromania nasce da questo.
YouTube è, al tempo stesso, un attore e un simbolo di un drastico cambiamento: attesta l’espansione delle capacità mnemoniche dell’umanità”. Ma si tratta di una memoria estrinseca all’individuo. Una memoria collettiva e condivisa, che si aggiorna in tempo reale. L’effetto collaterale è che “abbiamo a disposizione, sia in quanto individui che civiltà, una quantità innumerevole di ‘spazio’ da riempire per mezzo di memorabilia, documentazione, registrazioni… Ogni aspetto della nostra esistenza diventa potenzialmente archiviabile.
Retromania. Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato – Simon Reynolds
Le biciclette a scatto fisso, il vinile, Stampomatica, le Gutemberg, The Impossible Project e tanti altri progetti e mode che hanno caratterizzato gli scorsi anni derivano da questo rapporto nuovo con il passato. Si compensa un accesso banalizzato e semplice con una lentezza dettata da tecnologie ancorate al passato.
E la didattica?
Tutto questo può essere pensato, cambiando alcune cose, per il contesto formativo. In effetti Youtube (e Wikipedia, ma anche i MOOC e tanti altri strumenti online) agisce sull’informazione come sulla musica. L’accesso al passato è facile, ma lo è anche quello al dato e all’analisi. Gli autori sono a portata di clic. Le lezioni sono online.
Ma se l’accesso al passato ha prodotto tante mode legate a tecnologie lente, cosa succede alla didattica?
Contro lo user-friedly
E qui arriva Richard Sennett che spiega alcune cose riguardanti la collaborazione. L’idea di user-friendly, l’assenza di frizioni, la rimozione degli ostacoli non facilitano la costruzione di un’organizzazione collaborativa e creativa. Gli algoritmi e le metodologie prescrittive riducono lo spazio dell’innovazione.
Le resistenze e gli ostacoli sono spunti creativi. Come le biciclette a scattofisso. Come il vinile. Le resistenze ci incitano a pensare. Gli stimoli che provocano arrivano spontaneamente, dall’esterno, invadendo il settore del lavoro ben pianificato, per poi dover essere affrontati.
Senza tensioni interne ci sarebbe una corsa ininterrotta verso un obiettivo immediato; nulla potrebbe essere chiamato evoluzione o realizzazione. La presenza di una resistenza definisce il ruolo dell’intelligenza nella produzione di un oggetto di arte.
Richard Sennett, Costruire e abitare: Etica per la città
Se l’esperienza è facile e scorrevole, essa provoca l’abbassamento dei “generation effects”. È un termine che si riferisce allo sforzo di analizzare informazioni incomplete, contraddittorie o difficili – informazioni di tipo aperto. Fare sforzi permette di conservare meglio e più a lungo l’informazione di quanto non avvenga quando i dati sono completi, chiari e accessibili.
Le quattro regole di Sennett
Sennett conclude suggerendo quattro regole per affrontare questa condizione. Penso ci possano fare da guida nella costruzione di contesti di apprendimento ai tempi di Youtube.
1. Conoscenza incarnata
La prima riguarda la conoscenza incarnata. Si tratta del risultato di un processo di interiorizzazione della conoscenza. Posso concentrarmi realmente sull’esplorazione del nuovo solo se assorbo il metodo. I giapponesi inseriscono questo approccio nello Shu ha ri. Ci sono tre fasi per giungere alla condizione di poter modificare la conoscenza acquisita. Prima bisogna progressivamente imparare a fare quello che il maestro insegna. Poi si ottiene un’autonomia di esecuzione senza modificare le regole. Poi si giunge alla condizione di conoscenza incarnata su cui possono essere proposte modifiche.
2. Conoscenza itinerante
La seconda si riferisce alla conoscenza itinerante. Bisogna imparare a muoversi in spazi non conosciuti. Orientarsi in luoghi non familiari. Non si tratta solo di comfort zone da superare. C’è anche un aspetto di individuazione di schemi non ipotizzati. Superare il bias cognitivo che ci porta a cercare conferme delle nostre idee e a non riconoscere, ma nemmeno ricercare, loro confutazioni. Non ci mettiamo nella condizione di veder negati i nostri pregiudizi. Andiamo costantemente a confermarli attraverso una (anche inconscia) selezione accurata di esperienze costruite a questo fine.
3. Pratiche dialogiche
La terza regola parla di pratiche dialogiche. Costruire contesti di dialogo e meeting di natura non dialettica, ma dialogica. Non perseguire il compromesso tra le diverse posizioni mediando e convergendo. Più importante è mantenere le posizioni estreme e comprendere le motivazioni per sommare i punti di vista. Evitare il Frankenstein risultato della sintesi tra tesi e antitesi e invece elaborare un risultato valorizzando le differenze.
4. Gestione della rottura
Infine la quarta regola si riferisce alla gestione della rottura. Dare spazio a occasioni di infrazione rispetto alle regole. Mantenere ambiguità nei compiti assegnati agli altri. Dare spazi per la sorpresa. Costruire un ambito di “Choice engineering” anziche di “Policing”, come ben raccontato da Lev Virine e Michael Trumper.
Come tradurre tutto questo nella didattica
Parlavo dei mesi trascorsi insieme a persone da coinvolgere in un’esperienza didattica. Si è trattato in fondo di un grande esperimento. Quello di applicare le regole di Sennett alla lezione.
L’ho fatto invertendo l’ordine tra esperienza e teorizzazione. Far accadere le cose. Porre prima di tutto i partecipanti davanti all’azione e rispondere con la teoria a comportamenti attivati.
Far sempre interagire le persone tra loro più che con il docente. Costruire contesti didattici più che contenuti. Improvvisare in reazione a quel che avviene. Che poi è sempre diverso perché diverse sono le persone.
Dotare la classe di tanti strumenti da non usare sempre. L’abilità è quella di saper scegliere il tool giusto in funzione della particolare situazione. Non di conoscere perfettamente un solo strumento per una situazione predefinita. Questa capacità di essere eclettici in combinazione con lo sviluppo di un know-how profondo permette di costruire professionisti T-shaped.
Conclusioni
La strada è battuta e penso che un ulteriore passo sia quello di estendere un’attitudine pensata per il momento formativo in un approccio da inserire nel momento lavorativo.
Le regole di Sennett e i concetti della Retromania sono adatti anche per hackerare i processi aziendali e i progetti di innovazione. Questa l’attuale sfida che sto affrontando con molte aziende e partner.