Quattro modi per uscire dal proprio guscio. “Get out of the building!” e la virtù di non chiudersi in sé stessi

L’altro giorno Camilla, un’eccellente professionista che si muove tra CSR e “sustainability strategy”, mi ha detto la verità. Nonostante gli alti e i bassi dell’applicazione del modello, le regole base del Lean Startup l’hanno illuminata. Steve Blank e il suo “get out of the building!” si sono stampati nella sua testa.

Senza strutturare precisi MVP o rigorosi test scientifici, ha preso l’abitudine di “alzare la cornetta” e chiamare chi ha la risposta ogniqualvolta si presenti un dubbio su qualcosa. Un’attitudine al connettersi e al muoversi che non appartiene a tanti pianificatori innamorati di progettazione e strategia. Avere tutto sotto controllo prima di esporsi sembra una virtù. Frequentemente è un alibi.

Cosa vuol dire nella pratica?

Andare a verificare subito. Imparare costantemente. Non trovarsi mai il giorno dopo a reiterare quanto si faceva ieri. Sono indicazioni di metodo molto utili. Qualche resistenza è dettata da una bassa propensione al rischio. O dal timore di esporsi a figuracce. Come fare la domanda stupida in una riunione. Ci vuole molta sicurezza. Oppure serve essere affetti da una buona sindrome di Dunning Kruger.

Una volta superata questa ritrosia, però, ci si può chiedere come procedere. L’attitudine all’esplorazione può essere strutturata? O è solo l’esito di un generico istinto alla verifica sul campo? Ci sono tecniche? Metodi? Procedure?

Provo a mostrare, cogliendo dalla mia recente esperienza, alcuni modi per tradurre il “Get out of the building!” in pratica.

1. Un’intervista a prova di mamma

Il primo modo per confrontarsi con il mercato senza attendere che tutto sia pronto è quello di farsi due chiacchiere con i clienti. Più facile a dirsi che a farsi. In molte aziende ho provato a introdurre questa pratica, ma i blocchi sono tanti.

Se parlo con il cliente, questo cercherà subito di negoziare. Anziché sentire delle risposte autentiche, avrò delle opinioni interessate. Dovrei camuffarmi… Ma poi quanto scientifico può diventare questo metodo? E come posso evitare che i miei colleghi commerciali non trasformino l’intervista in una vendita? Dovrebbe farla qualcun altro? Chi? Il marketing? La ricerca e sviluppo?

Sono solo alcuni dei dubbi su come organizzare le “customer conversation”. L’intervista aperta che non faccia mentire l’intervistato è un’arte. Ben raccontata da Rob Fitzpatrick in The Mom Test, ma non basta.

Serve molta pratica per imparare a chiedere informazioni in modo corretto. Serve pensare a ciò che si sta cercando prima. Serve costruirsi uno script di poche domande. Serve saper tradire lo script quando le risposte ci porteranno su una strada imprevista.

The Mom Test
The Mom Test – Rob Fitzpatrick

Bisogna poi saper gioire di un’intervista che ci ha dato risposte insoddisfacenti. L’unica informazione interessante infatti è quella che smentisce la nostra ipotesi. Su questo punto dedico tanti momenti dei miei interventi in azienda per evidenziare, con giochi e simulazioni, la rilevanza del feedback spiazzante.

C’è un sacco di altra roba da sapere su questo approccio all’incontro con i clienti. È fatto di tecnica e di psicologia e può diventare una prassi continuativa di ogni azienda. Una prassi capace di costruire un database di informazioni destrutturate da cui fare emergere sorprendenti pattern utili a far evolvere il nostro business.

2. I test e i Minimum Viable Product

Parlo di esperimenti. Tanto si è detto su questa attitudine progressiva e iterativa al mercato. È un argomento a cavallo tra Lean Startup, Sprint dell’Agile e Design Thinking.

Schema Design Thinking

L’ottimo Piergiorgio Lovato mi ha suggerito anche di leggere un post dell’autore di una delle più fortunate immagini che spiegano questo approccio. Qua il link.

Ci sono diverse tecniche per sviluppare un esperimento. Dal Concierge al Mago di Oz, passando attraverso Landing Page e Crowdfunding. Anche qui ci vuole pratica e comprensione del mercato. Darei solo un suggerimento. Non partire con alcuna attività di questo tipo se non si è predisposto un modo per misurare i risultati. E di confrontarli con l’obiettivo che ci si era dati.

Un esperimento senza aver dichiarato gli esiti previsti e le loro conseguenze non è un esperimento. Naturale verrà infatti razionalizzarne gli esiti per conformarli al nostro comportamento. Come il famoso tiratore scelto del Texas che prima sparava vari colpi al muro e poi disegnava il bersaglio dove la densità di fori era maggiore.

3. Un’esplorazione di esperienze simili

Un terzo modo per uscire dal proprio contesto è quello di incontrare persone diverse. Esplorare spazi che apparentemente non sono così simili al nostro contesto di lavoro. Spazi che hanno però affrontato problemi di natura simile. Come direbbe Ash Maurya “Love the Problem”, innamorati del problema che stai risolvendo, non della soluzione che hai in mente. E quindi andiamo a vedere chi ha affrontato problemi simili.

Recentemente ho avuto l’occasione di portare, con Mylia, alcuni manager in visita presso lo straordinario Polifactory di Stefano Maffei. Erano risorse di grande esperienza che avevano la necessità di aprire i propri collaboratori verso spazi di innovazione meno strutturati. Anziché un convegno di “Change management” o “Innovation management”, un confronto diretto con chi ogni giorno tenta strade nuove per sperimentare con tecnologie e approcci innovativi può essere più utile. Come fa FiordiRisorse nel suo Muster. Come dovrebbe fare ogni manager che voglia aprire la mente dei propri collaboratori.

Polifactory, makerspace del Politecnico di Milano
Polifactory, makerspace del Politecnico di Milano

4. Giocare

Il quarto modo che propongo per uscire dal proprio contesto quotidiano è il gioco. Non bisogna essere appassionati di Herbert Marcuse per capire come l’attività ludica possa rimuovere blocchi e vincoli di cui siamo pervasi nella nostra professione. Il successo di Lego Serious Game e di tante esperienze simili ne è una prova.

Ma organizzare attività ludica progettandola in funzione delle esigenze specifiche di un’azienda non è facile. Serve cercare di non replicare esperienze orientate al puro team building o alla consapevolezza sulla complessità del change management. Serve partire dalle sfide dell’azienda e costruire attorno un’esperienza che possa dare nuovi spunti attorno a quei temi.

gioco

Servono progettisti di giochi e simulazioni che applichino delle regole di fondo per esplorare esigenze sempre diverse. La mera replica di format ludici rischia di essere poco efficace, per quanto di grande effetto.

Conclusioni

Parlare, sperimentare, esplorare e giocare. Sono quattro modi che rientrano in un’attitudine del management all’uscita dal proprio contesto. Sono attività più o meno semplici, più o meno ritualizzabili, per costruire un’attitudine all’ascolto del mercato troppo spesso più dichiarata che realmente vissuta. Sono modi per trasformare il tradizionale percorso di sviluppo di un’idea di business nella costruzione di un mercato durevole e sostenibile.

By stefanoschiavo