Un nuovo libro. La Trappola del Business Plan. Questa volta dedicato direttamente ai temi dell’innovazione e del management. Sempre con l’editore Franco Angeli che ha raccolto con entusiasmo la sfida. Uso questo termine perché mettere in discussione il Business Plan non è un progetto banale. Gran parte dei testi di economia aziendale e degli insegnamenti delle business school si fonda su questo strumento. E non nego che sia una parte fondamentale del bagaglio di imprenditori e manager. Ma c’è un problema.
Il Business Plan e i suoi limiti
Il libro parte dal confronto con molti professionisti, manager e imprenditori che hanno manifestato un disagio. Quello della pianificazione quando si vuole innovare il business. I documenti che spiegano gli step futuri del processo innovativo sono spesso molto accurati. Così tanto accurati da risultare a volte più un esercizio di stile che un aiuto nel percorso. Magari per tranquillizzare soci e finanziatori desiderosi di certezze.
Il confronto è partito da un incontro con Stefano Micelli, che ha alla fine anche scritto la prefazione al testo e che merita il mio ringraziamento. L’autore di Futuro Artigiano mi aveva fatto molte considerazioni sul focus che nel tempo le aziende avevano messo sulla razionalizzazione dei processi. Per contrastare la crisi, grazie anche al Lean Thinking, le aziende hanno creato flussi lineari e snelli. Un tubo perfetto in cui l’output era figlio di tecnologie e risorse molto efficienti. Ma questa efficienza ha forse perso di vista l’efficacia di soluzioni adatte a un mercato in profondo cambiamento.
Efficacia ed efficienza
Rachele Azzalin, Enrico Pandian, Alessandro Fossato, Matteo Palamà e Sergio Portaluri sono solo alcuni dei protagonisti del libro. Mi hanno fatto comprendere la necessità di un modo diverso di affrontare un nuovo progetto di business. Senza rinunciare al Business Plan, ma facendolo precedere da step diversi, meno orientati a convincere qualcuno e più legati a dubbi e apprendimento.
Le prime due parti del libro si fondano su tante intuizioni di Andrea De Muri con cui ho finora condiviso un percorso di ricerca ricco di soddisfazioni. Il ringraziamento per la sua lettura critica dei contesti di business e per la sua capacità da “segugio” di individuare trend significativi nell’ambito dell’innovazione è doveroso.
Il contesto attuale di chi opera nel campo dell’innovazione e la sua relazione con i principi del Lean Management sono oggetto della prima parte.
La traduzione in un percorso operativo di tutta la cultura del Lean Startup e del Design Thinking sul tema innovazione è descritto nella seconda parte.
I due tempi del business
La parte finale tocca un altro tema a me caro e che proviene da un ambito di ricerca diverso da quello del Lean Thinking. Gli stimoli di Richard Sennett e Frédéric Laloux, di Daniel Kahneman e di Nassim Taleb, nonché di tanti altri autori riportati nella bibliografia, mi hanno portato a considerare una contraddizione di fondo nella gestione del capitale umano in ambito di innovazione.
Da una parte i principi agili e snelli dell’innovazione spingono a una velocità molto elevata. Un’esplorazione continua del mercato. La possibilità di cambiare frequentemente idea fino anche a tradire quella iniziale. Team interfunzionali attivati su progetti rapidi e riconfigurati per lo step successivo. Tutta un’attitudine orientata al cambiamento frequente di idee e collaboratori. Lo stesso percorso di carriera proposto ai manager sembra fondarsi su frequenti cambiamenti di azienda, su attività professionali esterne alle organizzazioni, su veloci exit nei propri progetti di startup.
Questo però va in contrasto con i lunghi tempi di affiatamento dei team. Le persone riescono a fare innovazione quando cominciano a costruire ognuno sulle idee dell’altro. Sfidandosi nei momenti di entusiasmo e sorreggendosi nelle difficoltà. Intendersi con uno sguardo o comprendere lo stato d’animo degli altri non è cosa che si impara velocemente.
Come integrare queste due esigenze? Il tempo veloce del business e il tempo lento dell’organizzazione. Nella terza parte suggerisco di copiare dai migliori artigiani, capaci di comprendere appieno le esigenze specifiche dei clienti e allo stesso tempo di adattare a queste un team stabile. La soluzione sta nei rituali ben descritti da Richard Sennett in Insieme e tradotti in strumenti operativi alla fine del libro.
Conclusioni
La Trappola del Business Plan non è solo un tentativo di definire strumenti operativi per l’innovazione in una fase di grande incertezza. Senza negare la necessità di un’accurata analisi economico finanziaria, pone l’accento su un’attitudine culturale e su soluzioni organizzative coerenti. Esse devono essere curate per creare le condizioni di collaborazione più utili quando si affronta un progetto innovativo.
Spero che il testo sia apprezzato e aspetto consigli e critiche per procedere in questa mia esplorazione.