Diciamocelo. Al di là dei tentativi di applicazione degli approcci organizzativi del Lean Thinking ai processi di ufficio con razionalizzazioni varie di cicli attivi e passivi, della programmazione della produzione e degli acquisti e così via, non abbiamo visto esperimenti convincenti nell’ambito dei processi creativi. Ne avevamo accennato dopo il nostro intervento dagli amici di Frog Design.
Per “processi creativi”, magari in maniera non molto accademica, intendiamo quelli in cui l’aspetto intellettuale è fondante e non a servizio dell’attività di business. Ci riferiamo al mondo del design, dei servizi di marketing, degli studi professionali, delle famose startup, degli uffici di ricerca e sviluppo o dei laboratori creativi dei nostri artigiani.
Tutti ambiti cari a Sharazad un po’ perché da lì proviene la sua cultura, un po’ perché consideriamo l’organizzazione di queste aree basilare per produrre quella contaminazione tra mondo digitale (quello raccolto meritoriamente da h-farm a ca’ tron) e mondo manifatturiero (quello di futuro artigiano per intenderci).
Allora abbiamo apprezzato l’occasione di giovedì scorso quando Alessandro ci ha invitati a parlare di lean e scrum nella sua azienda di Mestre. Interlogica può essere definita un vero artigiano del software tra cura della costruzione di soluzioni personalizzate, capacità di interagire con le multinazionali globali su nicchie di specializzazione e cultura materiale profonda che viene da lunghe esperienze nel mondo dell’hacking.
Ne riparleremo di sicuro, ma intanto diamo merito a Andrea, nel suo intervento, di aver creato un ponte tra metodologie tipiche dell’ambito produttivo e i processi organizzativi di una software house così creativa. Il modello che abbiamo studiato insieme e che già abbiamo applicato in altri contesti simili si poggia su un’adozione intelligente di princìpi e logiche lean (pull, flow, kaizen, …) nelle dinamiche tipiche di chi deve mediare la divergenza del design thinking con la pressione di clienti industriali molto orientati all’efficienza.
I sette “muda” (sprechi) tipici del mondo Toyota sono ad esempio rianalizzati alla luce di ciò che avviene in un ambiente creativo… i magazzini non sono solo righe inutili di codice, ma ancor più accumuli di competenze non utilizzate, ambizioni di crescita delle risorse non riconosciute o sfruttate appieno.
La stessa reinterpretazione vale per altri strumenti (mappatura del flusso del valore, standardizzazione, miglioramento continuo, PDCA e A3, …) e pensiamo che tutti gli ambiti tirati dal lavoro intellettuale dovrebbero avvicinarsi a questi modi di interpretare l’attività aziendale, coniugando pressione verso il risultato e mantenimento di un ambiente creativo e aperto.
Pensiamo alle startup, come si diceva, ma anche ai servizi professionali (avvocati, commercialisti, architetti, …) e di marketing (agenzie, studi, …) o agli ambiti creativi delle aziende della moda e del design. Vi racconteremo gli sviluppi di tutto questo partendo dall’idea che esso sia un aspetto fondante di una strategia social che non può prescindere da un’organizzazione interna coerente con l’orientamento ad un rapporto trasparente con il mercato.