Incertezza, crisi e confusione? Sono il carburante dell’innovazione

Ci sono situazioni di emergenza. Come quella di queste difficili giornate. Sono momenti drammatici. Sono anche occasioni di apprendimento.

In altri casi la continuità permette di migliorarsi progressivamente. Abbiamo prospettive chiare su dove vogliamo andare. Possiamo organizzare il lavoro. Magari con difficoltà, risorse scarse, urgenze e tempi stretti. Ma con la chiara idea dell’obiettivo.

Le situazioni di emergenza sono invece spesso caratterizzate da una forte componente di incertezza. Non solo tutto è confuso, ma far bene le cose potrebbe essere un errore.

Peter Drucker

Management is doing things right. Leadership is doing the right things.

Peter Drucker

Incertezza ergo complessità

Spesso si scopre solo nel tempo che le cose fatte sono state controproducenti. All’inizio sembrano la miglior scelta possibile. Prendiamo una decisione, nonostante i tanti rischi. Poi emergono nuovi dati.

Quando la conoscenza si manifesta nel corso del tempo, emerge con il feedback e grazie al vaglio dell’informazione e non esiste in partenza in un fine preordinato e programmato, in questi casi siamo in situazioni complesse. L’incertezza e il rischio connesso dominano la scena.

Abbiamo riconosciuto qualcosa di familiare? Sì. È proprio come in questi giorni quando ogni nuova analisi e ogni nuova notizia si accumulano in una caotica massa di dati di difficile interpretazione.

Come dobbiamo accogliere i diversi consigli e le diverse opinioni che si riversano sui nostri schermi?

Boris Johnson e l'incertezza

Il management nell’incertezza

L’incertezza è una condizione tipica di certi momenti del management delle aziende. E sono codificate delle modalità per affrontarla.

Quando si costruisce qualcosa di realmente nuovo, che segue una linea di crescita non ancora correlata con la domanda di mercato, abbiamo una situazione di incertezza. È l’ambito della disruptive innovation. Quello ben raccontato da Clayton Christensen nel libro del 1997, Il Dilemma dll’Innovatore.

Dilemma dell'Innovatore

Chi si muove nell’innovazione disruptive esce dall’arena competitiva in cui la tecnologia si evolve secondo la capacità di recepirla del mercato. Ci muoviamo in un ambito che per gli altri non risulta interessante. Non sembra davvero dirompente e poi “i clienti non lo chiedono”. Non risveglia l’attenzione dei leader di mercato. Emerge più nell’indifferenza che nella competizione diretta. Come le luci LED, come la fotografia digitale.

Digital Kodak e l'incertezza

È in questo contesto “fuori” dalle attenzioni del mercato che si muove un innovatore. Perde i riferimenti consueti del settore. Percepisce un bisogno ancora inespresso. Si concentra e focalizza su un segmento di mercato ristretto. E poi conquista progressivamente spazi negli altri.

Può rivolgersi a una parte di clienti interessati a una qualità e a prezzi più bassi. Oppure individuare nicchie alte come nel caso della Tesla che si apre un mercato in una fascia di mercato inizialmente molto alta, prende un vantaggio tecnologico e poi si allarga al resto dei segmenti.

Tesla

Muoversi nell’incertezza

L’incertezza è quindi inestricabilmente correlata con l’innovazione più creativa. Essa costituisce sia il vincolo, sia la precondizione per sviluppare qualcosa di veramente nuovo. Il Lean Startup ci ha insegnato molto in quest’ambito studiando i comportamenti delle aziende digitali di maggior successo.

È codificato un comportamento che ricorda le regole dell’Oceano Blu.

In contrapposizione agli oceani rossi del “red management” si apre così la strada a un “blue management” in grado non solo di muoversi in contesti ad alto rischio, ma anche di farne la base per il successo competitivo.

Il “red management”

In altre parole, esiste un tipo di management delle aziende che si adatta molto bene ai contesti sotto controllo. Si tratta del “red management”. È quell’insieme di prassi e strumenti nati nell’industria automobilistica del secolo scorso. Un mercato in forte espansione. Più investi, più produci, più vendi, più ammortizzi gli investimenti, più fai margini e ancora investi e così via. Da lì nasce ad esempio la famosa matrice BCG. Economie di scala come driver del successo. Il fattore chiave è la quota di mercato.

Billy Durant
William Crapo “Billy” Durant (1861 – 1947)

È il regno degli Alfred Pritchard Sloan e della General Motors.

In pochi invece si ricordano di William Crapo “Billy” Durant. Che è quello che l’ha fondata la General Motors. Ma non aveva quelle grandi competenze manageriali. È stato anche cacciato dal board of directors. E poi ha fondato, quasi per ripicca, la Chevrolet, ma ancora sorte poi difficoltà nella fase successiva e così via…

Il “blue management”

Il management che ci interessa oggi è quello che sa affrontare sfide in ambiti incerti. Quello di chi riesce a fondare nuove imprese. Che sa muoversi come Bill Durant, più che come Alfred P. Sloan. Il “blue management”. Che ha delle regole chiare e presenta delle differenze rispetto al contesto “rosso”. Vediamole qui di seguito.

1. Trial & error

Il primo aspetto chiave è che il futuro è incerto e, come di solito è il futuro, imprevedibile. E in questi casi si va, come si suol dire, “per tentativi”. Un approccio “trial and error”. Non una pianificazione estrema. Niente business plan. Niente business case. Si cercano conferme ai propri dubbi. Si esplorano terreni sconosciuti. Una programmazione di dettaglio sarebbe una perdita di tempo. Usciamo fuori dal nostro ufficio e proviamo qualcosa. Velocemente.

Decathlon sub

Avete visto i FabLab italiani pronti a mettersi in moto per convertire le maschere da sub di Decathlon in risorse utili a combattere il virus.
Non servono grandi pianificazioni e verifiche. Anche in un contesto così delicato, si passa velocemente al test sul campo.

2. Fallire velocemente

È evidente che la paura del fallimento è tanto più grande quanto più si ha da perdere. Se abbiamo investito tutte le nostre risorse in un progetto, il fallimento sarà un disastro. Se abbiamo costruito un prototipo leggero e finalizzato a verificare aspetti specifici del rischio, possiamo fallire. Anzi, saremo felici di aver scoperto qualcosa di nuovo attraverso quel fallimento. Che prima arriva, meglio è.

Il caso della sfida tra i fratelli Wright e Samuel Pierpont Langley è uno dei classici esempi del diverso approccio dell’innovatore al progetto.

Samuel Pierpont Lasley
Samuel Pierpont Langley

Samuel Pierpont Langley era convinto che l’utilizzo di una catapulta per dare lo slancio iniziale all’aereo fosse la soluzione ideale. Nessun dubbio, nessuna incertezza. Solo una salda determinazione.

Raccolse molti soldi in diversi round di finanziamento che gli permisero di costruire ben sette prototipi. Il settimo fu quello più importante e un grande finanziamento gli consentì di fare due esperimenti.

Il primo il 7 ottobre 1903 vide il Great Aerodrome toccare un cavo e precipitare nel fiume, mentre nel secondo il 9 dicembre 1903 il prototipo si spezzò in due durante il lancio sul fiume Potomac. Questi incidenti furono anche legati al fatto che Langley puntava al lancio mediante catapulta che portava a elevate sollecitazioni strutturali l’aereo costruito in legno.

Wikipedia

La catapulta era un’idea ingegnosa, ma forse poteva valere la pena di fare qualche esperimento in cui non giocarsi necessariamente tutte le cartucce a disposizione.

I fratelli Wright, con meno mezzi e senza la visibilità di Samuel Pierpont Langley, realizzarono cinque tentativi al giorno, provandole tutte. Senza cadere nella trappola dell'”O la va o la spacca”.

Wright brothers bicycle

3. Rigore nel test

Come ho accennato in un altro post, orientarsi alla sperimentazione anziché alla programmazione, non significa non essere rigorosi. I metodi per condurre esperimenti sono difficili e complessi quanto quelli per programmare e pianificar attività di grandi progetti. Meritano attenzione, rigore e disciplina.

Design Sprint scheme

Non confondiamo l’apparente semplicità di un minimum viable product con una pressapochezza nella conduzione di una serie strutturata di test.

Semplice non significa banale.

4. Documentazione leggera

Un altro aspetto tipico del blue management è la produzione di poca documentazione.

Anziché business case e grandi presentazioni in Powerpoint, necessitiamo di lavagne per disegnare schemi e business model. Post it per programmare attività, ma anche per modificarle velocemente.

Business Plan e incertezza

Anche in questo caso non significa che schemi e impostazioni siano dilettantistici. Devono piuttosto esprimere un approccio diverso alla complessità.

Più adatti a modifiche frequenti. A una rappresentazione immediata in cui l’allineamento del team attorno al valore che stiamo perseguendo è centrale.

5. A contatto con i clienti

Un punto centrale nel blue management è il contatto diretto con i clienti. Non li conosciamo ancora. Non ne sappiamo abbastanza. Perché nemmeno i clienti probabilmente saranno consapevoli e capaci di riconoscere certe necessità ancora latenti. Essere immersi nel loro mondo diventa fondamentale.

Steve Blank

Spesso invece le aziende tendono a separare l’ambito della Ricerca e Sviluppo dal cliente. Perché non bisogna disturbare il modello commerciale già in atto. Non si devono rischiare tentennamenti. Non si deve far insorgere alcun dubbio. È importante convincere, non apprendere

In questo schema che preserva il mercato, si nasconde un limite forte dei player dominanti. Troppo orientati a conservare equilibri su relazioni consolidate che a mettere in discussione le attuali soluzioni.

Coinvolgere i clienti in un processo di sperimentazione ha indubbi aspetti di rischio. Non è semplice, per chi è immerso nel red management, attivare queste iniziative.

6. Approccio mentale

Il mindset di chi opera in contesti rossi è legato a ritualità consolidate e di lungo termine. Il budget annuale, le revisioni trimestrali. L’analisi cadenzata dei dati. La creazione di procedure e modelli controllabili.

Chi si muove in un “blue management” invece persegue un apprendimento continuo orientato più al fare che al pensare. La reattività diventa fondamentale. Cambiare idea una virtù. La destabilizzazione del team quasi un obiettivo strategico.

Apprendimento, velocità e focalizzazione sono le caratteristiche del “blue management” che si oppongono all’ottimizzazione e all’execution del “red management”.

Achille e la Tartaruga

Sono approcci così incompatibili che sembra impossibile per le aziende consolidate attivare al proprio interno processi di “blue management”.

L’unica soluzione allora è costruire spazi esterni di lavoro? Spinoff o startup da lasciare al di fuori del perimetro organizzativo tradizionale?

Una prospettiva di integrazione

Fortunatamente le aziende riescono a costruire una soluzione diversa. In qualche modo ibrida. Riescono a mantenere uno spazio di presidio attento all’efficienza e al servizio all’attuale mercato. Riescono però anche a integrare un mindset diverso.

Il segreto è trovare criteri e chiari fattori di discriminazione dei due ambiti. Gestire portafoglio di idee in diverse fasi, come raccontato da Alex Osterwalder in questo intervento.

Un modo per comprendere come costruire uno spazio per un approccio da “blue management” è quello di misurare il grado di incertezza in cui si muovono le idee. L’incertezza può riguardare la domanda, i clienti e il valore che portiamo loro. Può anche riguardare la tecnologia e la sua evoluzione. Oppure il contesto esterno, legislatori e competitor.

Attorno a questo concetto si costruiscono soluzioni che integrano due modi di pensare diversi. Explore ed Exploit.

Explore Exploit

Conclusioni

Come nella nostra attuale crisi, i contributi migliori provengono da chi sa diradare alcuni elementi dell’incertezza complessiva che abbiamo di fronte. Bisogna saper affrontare un passo alla volta una situazione complessa in cui l’unica cosa certa è che le dichiarazioni apodittiche, ottimiste o pessimiste che siano, non permettono di fare passi avanti nel nostro percorso di comprensione e costruzione del futuro.

By stefanoschiavo