Percepisco forte sconcerto. E anche un vago senso di sconforto. Parlo dei migliori professionisti che mi circondano e che avrebbero tante cose interessanti da dire e comunicare. Ma poi osservano che il contenuto nei canali di comunicazione che funzionano oggi sta prendendo una piega diversa.
Un giornalista con cui ho parlato qualche giorno fa se l’è presa con la categoria e il suo livello sempre più mediocre.
“Colpa anche delle paghe e dell’essere pagati al chilo di contenuti… Come per gli insegnanti e i poliziotti. Se non paghi come fai ad attirare i migliori?” Ma non è solo questo… È il modello che non va…”
Poi ha aggiunto che il livello di qualità è figlio della domanda che c’è nel mercato. Se tutti leggono i titoli dei giornali online per poi commentare sui social notizie che si è inventato il titolista, hai voglia a scrivere un articolo profondo e informato.
La comunicazione nel business
Spostandosi in ambito business, abbiamo fior di professionisti che non riescono a trovare voce nel cicaleccio quotidiano delle stories di Linkedin o delle battute su Facebook. Tutto si muove in mezze frasi, battute ironiche. Un salotto dei Verdurin in salsa digitale.
“Il mezzo ha vinto. C’aveva ragione quello là. Il mezzo ha definitivamente stravolto il messaggio. La qualità non conta. La frequenza dei post e l’uso delle parole chiave, dei trigger, dei sotterfugi tecnici per cavalcare l’algoritmo omologano tutti verso il basso e fanno vincere i più furbi”.
Terreno fertile per gli algoritmi
In questa prospettiva gli articoli creati dal machine learning di cui parlavo l’ultima volta hanno sempre più senso. L’omologazione fa prevalere l’automazione. Abbiamo creato standard al ribasso che oggi facilitano la vita dei robot. Come se avessimo spianato le strade della prateria con chilometri di asfalto per ospitare i camion e far fuori i bisonti.
L’adattamento del contesto per favorire l’avvento dei robot è stato ben spiegato da Luciano Floridi qua. Nello stesso capitolo sta la mia voce più lenta per scandire le sillabe. Non per far felice la mia maestra delle elementari Maria Pia. Ma per permettere a Siri di comprendere cosa le sto dicendo.
Quando applichiamo al mondo professionale questo percorso di riduzione della complessità, di rimozione delle intemperanze, di banalizzazione dei concetti, quello sconcerto di cui parlavo all’inizio dilaga.
O tempora o mores! Dove arriveremo di questo passo, signora mia?
Un altro punto di vista
Eppure c’è un’altra lettura che può dare una speranza.
Ogni miglioramento della produttività permesso da una semplificazione di un processo ha liberato risorse per inseguire una nuova frontiera. Abbiamo alzato l’asticella.
Non basta capire le logiche dell’algoritmo con cui Medium o Linkedin valorizzano i nostri post. Non basta far bene la SEO o centrare campagne corrette per i buyer personas cui puntiamo. Nel momento in cui tutti impariamo la tecnica, si apre una nuova competizione su quella nuova frontiera. E chi ha cartucce da spendere vince.
No man’s land
Sono cresciuto in una città ai piedi dei monti oltre la quale si apre una grande pianura. L’idea del confine è connaturata con queste terre. Da una parte c’è l’omogeneità delle città che stanno nel grande piano padano. Dall’altra le creste mosse e un po’ inquietanti delle grandi montagne. È un ambiente che dà il senso di una precarietà che è anche conquista continua di un nuovo spazio di espressione. Di un pericolo e di un’opportunità.
E allo stesso modo l’automazione della comunicazione e della capacità di far leggere ciò che scriviamo può esserlo. Un’opportunità. Perché lo sia dobbiamo però prima appropriarci delle regole dell’algoritmo. Senza pigrizia. Dobbiamo governarne le sue ragioni e le sue richieste. Dobbiamo impegnarci a essere al passo coi tempi. “Il faut être absolument moderne”, diceva Rimbaud. Dobbiamo essere per forza moderni.
E poi però dobbiamo trovare una via originale per ridefinire le regole. Per ritrovare un terreno di espressione dove ancor più chi ha contenuti, vince. Oltre l’algoritmo, oltre i robot.
La comunicazione sfidata
Si dice che i vincoli esaltino la fantasia. La creatività si blocca di fronte al foglio bianco. Un algoritmo che costringe entro spazi stretti dà il via alla ricerca di altri spazi.
L'”Officina di Letteratura Potenziale” (OuLiPo) crea opere usando le tecniche della scrittura vincolata. Nasce negli anni ’60 con Raymond Queneau e François Le Lionnais.
Si tratta di una “ricerca di nuove strutture e schemi che possano essere usati dagli scrittori nella maniera che preferiscono”. I vincoli stimolano le idee e l’ispirazione. Pensiamo ai lipogrammi che impediscono di usare una particolare lettera nel testo. O ai testi palindromi che tutti conosciamo.
Non si tratta solo di un esercizio di stile, di un divertissement. C’è sotto la consapevolezza che quell’impedimento, come in un famoso film di Lars Von Trier, fa da trampolino per trovare nuove soluzioni.
Dalle costrizioni dell’OuLiPo sono nate grandi opere. Come dagli endecasillabi della terzina incatenata è nata la Divina Commedia.
Una comunicazione che supera l’algoritmo
L’algoritmo è il vincolo dei nostri giorni. E al suo interno troveremo spazi per essere originali e fare emergere le vere differenze che alla fine non sono mai di forma, ma di pensiero, significato e senso.
E poi ci troveremo come le star in mezzo ai messaggi di Signal. O nelle menzioni di Twitter, nelle room di Clubhouse e chissà cos’altro. Ma esserci, quando tutti saremo lì, non basterà. E la qualità tornerà a contare, oltre ogni banalizzazione.
Questo post non l’ha scritto un algoritmo.