Le radici lean della business model generation

È stato già spiegato molto bene. Un libro come The Lean Startup è diventato celebre grazie a questa tesi. Eppure proprio oggi, quando importanti aziende stanno adottando i principi della Business Model Generation, serve ribadire il legame profondo. Parlo di quello che collega il Lean Thinking alle più recenti metodologie per l’innovazione. Customer Development, Business Model Generation e, appunto, Lean Startup.

Eric Ries, autore di The Lean Startup

Il lotto continuo

Ci sono principi e strumenti ben descritti e raccontati dagli esperti di Lean Thinking. Il Lean Center di Fondazione CUOA rappresenta uno dei punti di riferimento sotto questo aspetto.

Ci parlano di riduzione degli sprechi, di centralità delle persone, di ottimizzazione dei processi. Tra le tante cose che caratterizzano l’approccio snello, forse uno ha più a che fare con la sua traduzione nell’ambito dell’innovazione nei business model. Mi riferisco alla riduzione dei lotti.

Solo apparentemente un tema tecnico, da fabbrica. Se devo verniciare un prodotto di rosso e ci metto tanto tempo a preparare la cabina di verniciatura, meglio colorare tanto materiale. Così recupero quel tempo. E così sarà per ogni nuovo colore che vorrò dare ai miei prodotti. Ammortizzo il tempo di setup. Facendo così quindi la mia efficienza sarà alta.

Ma se i miei clienti vogliono un pezzo verde, dovranno aspettare tanto. E forse non mi posso permettere di proporre tanti colori diversi, tanto meno fatti su richiesta del cliente.

Queste e altre considerazioni hanno portato a un cambio di priorità. Tra le altre c’erano i lunghi tempi necessari per ricevere un feedback dal cliente (“questo non è il rosso che volevo!”). E poi la tanta energia profusa per portare grandi quantità di materiale al cliente per scoprire che non è ciò che vuole. Per “energia” si intendono scorte e soldi.

Il nuovo approccio spostava l’attenzione verso una riduzione delle cause che spingevano a fare lotti di lavorazioni così grandi. Come il tempo per cambiare colore alla cabina di verniciatura.

In altre parole si doveva lavorare sulle interfacce tra le fasi di lavoro per rendere tutto più snello. Più a flusso. Leggendo il processo di lavoro nella sua interezza, ci si poteva concentrare sulla creazione di valore per il cliente e non sull’ottimizzazione locale delle singole fasi.

Dalla fabbrica queste considerazioni si sono spostate negli uffici e poi nell’intero modello di business. Le applicazioni di questo approccio sono diversificate. Non accumulare tante e-mail prima di dare risposta ai clienti che ci chiedono informazioni nelle fasi di Customer Care. Non attendere una Fiera prima di lanciare un nuovo prodotto sul mercato. Non vincolare l’uscita del nuovo prodotto all’aggiornamento del manuale o del listino prezzi. E così via.

La regola è che ogni volta in cui si accumula lavoro prima di passarlo alla fase successiva, si stanno creando dei problemi alla fluidità del processo. Pagare gli stipendi una volta al mese crea un effetto strano sui clienti del ristorante…

Le radici giapponesi

Questa impostazione metodologica più generale si riflette nel mondo dell’innovazione nei modelli di business in maniera peculiare, descritta in modo eccellente da Eric Ries in The Lean Startup.

È evidente come la riduzione dei lotti possa trovare una correlazione forte con l’approccio sperimentale e iterativo della business model generation. Rapidi cicli di sperimentazione permettono di verificare velocemente le reazioni del cliente. Andare a sbattere contro un “no” immediato permette di risparmiare soldi e fatica, e magari di avere spazio per ulteriori esperimenti.

Proviamo però ad andare un po’ più in là e a mappare le caratteristiche della business model generation in relazione al cinque principi fondamentali del Lean Thinking.

Nei prossimi paragrafi passiamo in rassegna ogni principio e vediamo come si coniughi con l’essenza della business model generation. Proviamo in altre parole a collegare i diversi principi del Lean Thinking alle prassi e metodologie dell’innovazione dei Business Model.

Primo principio. Valore

Il principio alla base della rivoluzione snella giapponese è dare sostanza a qualcosa che sta spesso a un livello puramente teorico. Parlo della centralità del valore per il cliente.

Ma cos’è il valore? Tante risposte sono state date su questo argomento. Essenzialmente si riferiscono al prendere la prospettiva di chi sta cercando una soluzione ai propri problemi. Il punto di riferimento più interessante in questo senso è, come spesso accade quando si affrontano queste questioni, il lavoro di Clayton Christensen. riprendendo il celeberrimo passo di Theodore Levitt sul trapano e il buco sul muro, viene introdotto il tema del Job-to-be-done (JTBD).

Theodore Levitt
Theodore Levitt

Ogni cliente ha un lavoro da svolgere e cerca qualcosa che lo possa aiutare in questo. Qualcosa che sia allo stesso tempo vantaggioso in sé, ma anche migliore di ogni altra alternativa a disposizione, compreso il fare come si sta facendo oggi.

In una visione del valore marginale, esso non è determinato dallo sforzo di chi ha prodotto un bene o un servizio, ma dall’interesse che il cliente pone su ciò che si sta facendo.

Non si tratta quindi di valorizzare i nostri sforzi come se avessero intrinsecamente un valore connesso con l’impegno e le capacità che abbiamo profuso.

Anche il miglior artigiano, capace di un lavoro eccellente e originale, rischia di non creare alcun valore se non risponde a un bisogno di un cliente che si lega a un problema urgente da risolvere.

Nella business model generation tutto questo argomentare attorno al concetto di valore per il cliente si concretizza nei punti di partenza della compilazione di un business model canvas, ossia i segmenti di mercato a cui ci rivolgiamo e la Value Proposition che sviluppiamo.

Molte sono le tecniche per descrivere la proposta di valore, ma per chiunque si ponga questo obiettivo è essenziale fare riferimento a quella rivoluzione copernicana che è stata al centro del primo principio del Lean Thinking.

Secondo principio. Value Stream

Il secondo principio Lean si concentra sulla capacità di leggere il valore che fluisce lungo il nostro processo. Questa capacità di leggere e comprendere cosa sia importante e di valore per il cliente e cosa invece sia Muda, ossia spreco, diviene la caratteristica più distintiva di un Lean Thinker.

Un famoso aneddoto ricorda la prassi di uno dei fondatori dell’approccio Lean, Taiichi Ohno. Il cerchio di Ohno era quello che il manager di Toyota descriveva con il gesso attorno al neo assunto, portato in mezzo ai reparti produttivi e lasciato lì con il compito di “osservare”.

Dopo un po’, al suo ritorno, Ohno chiedeva cosa avesse visto il malcapitato. Quello che lo avrebbe liberato da quel cerchio magico era la capacità di distinguere le cose rilevanti da quelle in essenziale.

Value Stream Map

Comprendere quali fossero gli elementi di valore era la competenza principale di chi volesse intraprendere un percorso nell’azienda giapponese.

Più in generale questo interesse attorno alla lettura del valore ha portato a una serie di strumenti di analisi dei processi produttivi, come la celeberrima Value Stream Map (VSM).

Anche in questo caso possiamo vedere delle chiare continuità con la business model generation. La centralità dei canvas, degli schemi che permettono di descrivere immediatamente gli elementi che stanno alla base del nostro modello di business, è evidente.

La stessa necessità di chiarezza e identificazione del valore che sta in una mappa del flusso del valore, si riscontra nel business model canvas di Alex Osterwalder. L’immediatezza, la lettura di insieme, la coerenza complessiva dell’impostazione diventano un elemento ancora più essenziale della precisione e completezza di un business plan. Il focus sulla coerenza ci porta quindi al terzo principio.

Business Model Canvas

Terzo principio. Flusso

Una volta identificate le componenti di valore e spreco di un processo, è possibile attivare un miglioramento volto a rendere fluido lo scorrere delle attività. Anche in questo caso si tratta di lavorare più sulle interfacce che sulle attività locali.

Tutta quella introduzione sulla riduzione dei lotti trova qui il suo posto.

Nell’innovazione legata ai modelli di business, la creazione di un flusso si riscontra nella capacità di creare coerenza e correlazione positiva tra i diversi aspetti di un nuovo business.

La Value Proposition diventa elemento centrale per valutare quanto essenziali e adeguati siano i contenuti degli altri riquadri del canvas. La bravura sta nel non fare niente di meno e niente di più di quello che serve per creare coerenza tra il proprio modello e le aspettative del mercato.

Rimuovere elementi apparentemente di valore, ma legati più alle esigenze del produttore che del cliente, non è semplice. Intervistare il cliente, fare degli esperimenti, rimuovere l’orgoglio per la propria capacità, richiedono una forte predisposizione all’ascolto degli altri oppure una grande capacità di entrare in empatia con il mercato che vogliamo servire. Tutto ciò ci porta direttamente al quarto principio.

Quarto principio. Pull

Siamo a un altro dei cardini del modello Lean. Parliamo di un principio in qualche modo già introdotto dalle ultime righe del punto precedente. Se il cliente è al centro di ogni nostro sforzo, più in generale in ogni fase del nostro processo di costruzione del valore dovremmo essere in grado di lavorare solo in funzione di quello che viene richiesto dalla fase successiva.

Non lavorare per ottimizzare il proprio lavoro, ma per rendere fluido il processo complessivo. Ciò significa rimuovere i silos organizzativi e collegare tutto il flusso in modo che le fasi a valle diventino il primo cliente di quelle a monte. Evitare così di accumulare scorte e lavorazioni quando non ci sia una diretta richiesta di che ci segue.

Si tratta ovviamente di un altro di quei principi scardinanti di logiche tradizionali di ottimizzazione fordista delle attività. Nella business model generation questo si lega al la propensione a incontrare il cliente e farsi raccontare ciò che oggi gli interessa.

Gli esperimenti sul valore sono tipici delle prime fasi di esplorazione di un nuovo modello di business.

“Get out of the building” dice Steve Blank e riecheggia il “Genchi Genbutsu” (Vai a vedere) giapponese.

Un istinto per la verifica di quanto ipotizzato attraverso esperimenti e test a immediato contatto con il mercato. Un processo da attivare subito e da finire… quando sarà il caso, come vedremo nel prossimo, quinto e ultimo principio.

Quinto principio. Perfezione

L’ultimo principio caratterizza l’approccio di un percorso di innovazione Lean. Si tratta dell’idea generale che il miglioramento non sia una tantum, non sia caratterizzato da un intervento straordinario, da una rivoluzione subitanea o dall’uomo forte che interviene per cambiare radicalmente le cose.

Con un approccio che trova le sue radici nella cultura giapponese, si tratta di darsi un motore interno di miglioramento che abbia caratteristiche di continuità e progressività.

Il Kaizen, il miglioramento continuo, si traduce in un processo di rapidi e successivi cicli di cambiamento, caratterizzati da un approccio scientifico e sperimentale.

Questo mette anche in crisi l’idea di dover avere successo ad ogni costo. Poter promuovere una serie di iniziative rapide e sperimentali permette anche di non giocarsi tutto in un unico tentativo, ma di trovare la strada giusta nel tempo. Costruendo tra l’altro processi più solidi e duraturi. Tutto ciò consente di toccare anche l’elemento culturale del coinvolgimento delle persone nel processo di cambiamento.

Questa lentezza e progressività sono fondanti di un approccio bottom up che vede protagoniste le persone che lavorano nel Gemba, il luogo in cui si crea il valore.

Nella business model generation tutto ciò si è tradotto nei cicli di sperimentazione del build measure learn, evocativo del PDCA di Deming.

La peculiarità è che al centro di questi cicli sperimentali, fondati sul concetto di MVP, sta l’apprendimento. In altre parole si propone di non concentrare l’attenzione sul tentativo immediato di costruire una soluzione che funzioni, ma di aprire la mente a sorpresa e pensieri “out of the box“.

Questi derivano da una progressiva scoperta di ciò che è davvero importante per il mercato, ossia di quel valore da cui, come in una poesia di Eliot, siamo partiti.

By stefanoschiavo