Il dialogo lo sento quando entro nell’ufficio marketing.
“Il tasso di conversione dell’ultima newsletter è sotto il benchmark”
“Quanti MQL abbiamo generato nell’ultimo mese?”
“Trecentoventi”
“E passati a SQL?”
“Novantadue, ma quelli delle vendite non ci fanno niente, dicono”
Ingegneri. Matematici che calcolano indici e litigano con i commerciali. Quand’è che il Marketing è diventato un Ufficio Tecnico?
Per chi ha in mente Mad Men e Don Draper, questo proliferare di indicatori e percentuali può spiazzare.
C’è da chiedersi quanto spazio resti alla creatività.
E a un rapporto più reale con il cliente.
La creatività è figlia di un rapporto diretto con ciò su cui si applica. Un processo che trasforma i clienti in percentuali di lettura delle mail non può essere creativo. La conversazione diretta con le persone e la capacità di ascoltarle può permettere di costruire soluzioni sorprendenti.
Ma andiamo per ordine.
Conversazioni e marketing delle relazioni
Conversational Marketing è un libro aggressivo. David Cancel mette in discussione parte dell’impalcatura dell’Inbound Marketing. Lo fa dall’interno e quindi non affonda il colpo, ma leggendo tra le righe i fendenti non mancano.
Alcuni contenuti starebbero proprio bene in un manuale del Lean Thinking applicato al Marketing. Quelle cose che senti e ti confortano quando vai in aziende come Velux Italia.
Il funnel, ossia l’imputato
Alcuni aspetti sono davvero illuminanti. In generale, la divisione del processo di generazione e gestione dei contatti in fasi successive è l’imputato.
Nelle aziende oggi c’è chi genera contenuti e li promuove per attrarre contatti, i mitici lead. Saranno poi gettati in uno laghetto pieno di esche succulente. Webinar, ebook, cataloghi e quant’altro d’interesse è a loro disposizione. Purché siano disposti a compilare un form. Passeranno così finalmente nello stato “marketing qualified”. Promossi dagli addetti al Marketing, saranno trattati con deferenza e rispetto.
Poi altre esche e altre tentazioni trascineranno questi contatti fino agli addetti alle Vendite che si troveranno caldi e disponibili “sales qualified” lead sul tavolo.
Metriche di ogni tipo accompagnano il tutto. E queste metriche permetteranno di capire quali azioni avranno funzionato e quali no. Misure, indicatori, feedback e loop di ottimizzazione. Un algido laboratorio dove ingegneri perfezionano un processo codificato.
Uno sguardo Lean sul processo
Un manager abituato a studiare i processi da un punto di vista snello condividerà le critiche di Conversational Marketing. Il percorso che accompagna un cliente è fatto di continue interruzioni funzionali al nostro bisogno di un processo “easy to sell” e non “easy to buy”. I form e la richiesta progressiva di informazioni in cambio di un avanzamento nella nostra considerazione è quanto di meno customer-driven si possa pensare.
L’immagine di un cliente che entra in un negozio pieno di prodotti, ma senza personale è illuminante. Lì alla cassa un foglietto con scritto “Dicci chi sei e lasciaci un numero. Ti contatterà più avanti una commessa”. Questo sono spesso i nostri siti web. Aggiunge David Cancel che il 58% dei form compilati dagli utenti non ottengono poi nessuna risposta. Nel negozio non si presenta nessuna commessa…
Da lì il libro comincia a parlarci di conversazioni. Attraverso messaging e chatbot possiamo forse costruire un’unica esperienza che parte dal contatto e arriva alla vendita. Tutto bilanciato con la necessità di processi efficienti e gestibili dalle limitate risorse aziendali. Lascio questi aspetti ai lettori del libro. A me ha colpito una conseguenza di questa rinascita della conversazione nel Marketing.
Il Marketing tra dialogo e creatività
Nell’impostazione “Stage and Gate” del percorso di qualificazione del Lead nel funnel sembra esservi poco spazio per la creatività. Niente male perché tutto è ben rodato e scalabile. E non è forse la scalabilità il Sacro Graal di ogni manager?
Ma questa separazione delle diverse fasi che porta un contatto a diventare un PQL, un “Product qualified” lead che prova il nostro servizio crea un conflitto inefficiente. Come sempre le divisioni nette dei ruoli hanno delle vittime. E in questo caso le vittime sono la consapevolezza del mercato e il valore fornito ai clienti.
E in effetti si penalizza il rapporto con il cliente. Si esclude la conoscenza diretta. Non si ha la possibilità di coltivare una relazione profonda. Si allungano i tempi. Si perdono occasioni.
Una visione integrata del processo di vendita richiede una impostazione snella. Ce lo insegna, dicevo, il Lean Thinking da decenni. Valeva per le fabbriche. Vale per il Marketing. Una conversazione non ha interruzioni. Parte dal manifestarsi di un interesse da parte del cliente e si conclude con una relazione di lungo periodo fin dopo la vendita. Basta passaggi di testimone.
Un’azienda deve leggere il processo di Marketing e Vendita come un unico flusso che governa le relazioni con i clienti. Il “Conversational qualified” lead diventa l’unico soggetto significativo.
Esperienze giapponesi
Chi volesse definire ogni attore della struttura Commerciale e Marketing come parte di un unico team avrebbe molto da attingere dalla tradizione giapponese.
In Toyota, nello stabilimento di assemblaggio delle autovetture, la segnalazione di un problema da parte di un singolo operatore fa scattare un segnale d’allarme per tutte le altre linee. Indipendentemente dalla relazione diretta con quel reparto da cui è nata la segnalazione. Sembra inefficiente e inutile e in realtà è essenziale per costruire un’attenzione al valore per il cliente reale.
La visita allo stabilimento mi ha ricordato l’esperienza in alcuni ristoranti giapponesi di Vancouver. All’entrata e all’uscita di ogni cliente, ma anche alla consegna dei piatti al tavolo, l’intera cucina, cuochi e camerieri, si fermava per gridare in coro un saluto al cliente.
Riprendo l’immagine di Conversational Marketing. Gli attuali siti web sono simili a negozi pieni di merce esposta sugli scaffali, ma senza alcuna persona presente per ricevere i visitatori. Magari solo con un foglio in cui lasciare i propri dati per essere richiamati, forse, più avanti.
In questo negozio, quello che manca è la conversazione. Non è una questione di strumenti (chatbot o telefonate che siano). Manca prima di tutto una cultura che vuole costruire una relazione. Mancano i cuochi e i camerieri urlanti in coro al nostro ingresso nel ristorante giapponese.
E lì, finalmente, creatività ed empatia riprendono il ruolo che meritano. Un ruolo che permette di non omologarci in procedure ripetitive che fanno assomigliare tutti i nostri uffici Marketing a catene di montaggio degne di Tempi Moderni. I dati servono. Gli ingegneri sono fondamentali. Ma non a discapito dell’originalità di contenuti distintivi. Il rischio è non differenziarsi più e, alla fin fine, di annoiare in modo molto efficiente.