Parliamo di negoziazione. Bisogna fare un piccolo sforzo per prendere in considerazione ancora una volta una delle parole più (ab)usate negli ultimi anni. Eppure è interessante scoprire che rappresenta il vero ingrediente che fa da collante tra discipline diverse come appunto la negoziazione e l’organizzazione aziendale. Parlo ovviamente dell’empatia.
La troviamo spesso quando parliamo di Lean Startup e quando utilizziamo gli strumenti del Design Thinking. Compare quando si parla di Agile management o di Economia comportamentale. Più recentemente conserva tutta la sua rilevanza quando si affrontano le tecniche di negoziazione e vendita.
La giusta distanza
Nel film La giusta distanza, Carlo Mazzacurati sviluppava un discorso intenso attorno all’impossibilità di mantenere un profilo distaccato rispetto a quanto osservato. Questo vincolo professionale che dovrebbe caratterizzare un giornalista, un politico, un tecnico, non è di facile portata. Come rimanere indifferenti di fronte a situazioni urtanti o disumane? Come non partecipare alle sofferenze degli altri? Il bravissimo professore di Fisica ci diceva sempre che prima di essere tecnici, siamo esseri umani e dobbiamo ricordarcelo sempre.
La cosa è difficile anche quando il coinvolgimento risulta inutile. Pensiamo a quel finale di Blow-Up di Michelangelo Antonioni quando il protagonista, dopo un lavoro di ricerca incredibile attorno a una dettaglio di una foto, si ritrova circondato da indifferenza. Cercare la verità dietro una trama oscura risulta inutile o di nessuna rilevanza per gli altri. Eppure quanta passione c’era in quella camera oscura e nel processo di ingrandimento di quella foto.
Se allora il tema risulta importante e rilevante per il tuo interlocutore, come un piano di business del tuo cliente, quanto ancora più difficile è restare alla “giusta distanza”. Pensiamo alla cura del benessere organizzativo di un’azienda, allo sviluppo di un nuovo mercato e ad altre tematiche aziendali. Sono appassionanti, coinvolgenti e toccano nel profondo le relazioni tra le persone. Richiederebbero una distanza minima. E invece no.
Empatia e negoziazione
Queste considerazioni permettono di comprendere bene la differenza tra empatia e simpatia. In quest’ultima io mi trovo a condividere lo stato dell’altro, partecipando della sua condizione, perché “sono come lui”. Nel caso dell’empatia invece mantengo quella famosa “giusta distanza”. Riesco a comprendere pienamente il modo di pensare dell’altro, ma rimango me stesso. È una condizione che non rinuncia alla comprensione del senso delle cose, ma non simula una condizione inesistente.
Richard Sennett critica il politico in visita ai sobborghi di Boston. Per quanto sia possibile che egli comprenda lo stato delle persone che ha di fronte, è davvero impossibile che si ponga nella loro stessa condizione (“Io sono come voi”). Questa dichiarazione di simpatia non è veritiera. Mentre l’empatia è la corretta condizione psicologica in cui porsi quando si affronta l’altro.
E nella negoziazione la cosa vale ancor più. Come giocando a poker, si devono scoprire pensieri e carte dell’altro, ma non si gioca dalla sua stessa parte. Vediamo dove si applica l’arte dell’empatia nella costruzione di un ambiente organizzativo virtuoso e collaborativo. e poi torniamo alla negoziazione.
Lean Startup
Il Lean Startup applica i principi del Lean Thinking all’innovazione strategica. Non può pertanto prescindere da un punto di partenza fondamentale di quell’approccio. La centralità del cliente e la comprensione del valore. È per questo che l’empatia ne diviene strumento chiave. Lo è a tal punto che l’individuazione di due fasi ben distinte nel processo innovativo si fonda su questo concetto.
Come spiega bene nei suoi libri Eric Ries, il Problem Solution fit è una fase iniziale in cui la comprensione del valore è centrale. Il Product Market fit viene dopo. In questo si analizzano le risorse a disposizione, la capacità di erogazione del servizio o di produzione del prodotto, le soluzioni tecniche della nostra idea, le idee di marketing che ne sosterranno lo sviluppo. Ma la fase di comprensione del valore viene prima. Anche prima dell’analisi dell’equilibrio dei ricavi e dei costi o della sostenibilità finanziaria del progetto.
Comprendere il valore significa comprendere ciò che ha in mente il cliente. Più specificamente quali problemi sta affrontando. Ciò che non lo soddisfa delle condizioni attuali, ciò che vorrebbe raggiungere. Pain e Gain. Questa comprensione è proprio l’esito di un’analisi empatica. Ci mettiamo nella sua testa e capiamo cosa vede attorno a sé. Chi lo influenza. Che stato d’animo lo caratterizza. Che priorità ha nella sua agenda. Ho spiegato queste tecniche, prese in prestito dalle soluzioni del Design Thinking, ne La Trappola del Business Plan. Esiste, in diverse versioni, anche l’Empathy map che aiuta a strutturare questo percorso.
Agile management
L’Agile management ha molti punti in contatto con il Lean Thinking. Molte sue tecniche hanno alla base strumenti di collaborazione in cui la comprensione reciproca diventa strumento di apprendimento del team. Per raggiungere questo allineamento sulla visione, sono proposte molte tecniche. Quelle dei cosiddetti metodi Delphi in particolare cercano di rimuovere bias cognitivi, pregiudizi e preconcetti, vincoli gerarchici e così via. Sono strumenti di cui facciamo spesso uso in Sharazad e che ci aiutano a scoprire cosa pensano davvero le risorse coinvolte in un progetto. In massima libertà e comfort psicologico.
I rituali nell’organizzazione permettono di sviluppare una collaborazione vincente. Invece di avere persone che difendono un proprio ruolo estremizzando le proprie posizioni (magari in funzione di MBO aziendali), abbiamo una capacità di comprenderci rivelando il nostro punto di vista. Anche in questo caso il tutto funziona solo in presenza di persone che hanno sviluppato un forte lato empatico.
E la negoziazione?
In Never split the difference, Chris Voss dice che bisogna
immaginarsi nella situazione della controparte […] L’empatia non richiede di essere d’accordo con le idee dell’altra persona
Riconoscendo la situazione dell’altra persona, si comunica immediatamente che si sta ascoltando. Una volta che l’altro sa che lo si ascolta, si apre. Chris Voss dà tale peso a questo processo da renderlo centrale in tutto il tema negoziazione. Ancor più delle tecniche per indurre l’altro a prendere decisioni a nostro favore. Arrivano anche queste, ma prima il focus è sul processo di comprensione.
È un discorso che vale nei piccoli processi di vendita, come nelle grandi e controverse dispute internazionali. Fino al famoso viaggio di Nixon in Cina all’inizio degli anni ’70, l’incapacità americana di comprendere la realtà cinese è stata incredibile. La descrizione che ne fa Danilo Taino in Scacco all’Europa è davvero magistrale.
La negoziazione nel mondo dell’altro
C’è un altro motivo per cui è meglio partire dalla comprensione delle ragioni degli altri.
I motivi contro un accordo sono spesso più potenti di quelli a favore
Quindi bisogna prima di tutto rimuovere gli ostacoli. Negarli dà loro credito. Meglio portarli allo scoperto.
Bisogna negoziare all’interno del mondo dell’altro. La persuasione non riguarda quanto siamo brillanti, sottili o forti noi…
Si tratta di convincere l’altro che la soluzione che lui desidera è proprio la nostra. Quindi non dobbiamo batterlo con la logica o la forza bruta. Meglio porgli domande che aprano spazi per i nostri obiettivi. Imparare a fare domande calibrate e a confrontarci direttamente con gli altri è un’altra skill fondamentale.
Sul tema degli script per fare domande che aiutino il percorso di scoperta ho già detto molto in altre occasioni. Qui è da notare che anche nella negoziazione, così come nell’analisi del valore del cliente nel processo di innovazione, questa stessa cura per domande aperte e calibrate è fondamentale.
Conclusioni
Poi possiamo anche negare tutto questo, come amo sempre fare nel finale dei miei post. In “Skin in the game” di Nassim Nichola Taleb l’attacco ai consulenti è davvero potente. La “giusta distanza”, può essere letta anche come volontà di non mettersi davvero in gioco.
È un errore da non commettere. Lo sguardo lontano e asettico del tecnico che dà consigli senza rischiare niente non è la ricerca dell’empatia. È un atteggiamento che porta a consigli orientati a non poter essere accusati successivamente. Il consulente diventa così interessato a proteggersi dal giudizio futuro più che a dare consigli compromettenti. Ma il rischio fa parte dell’azione di business. È per questo che Taleb fa quest’atto di accusa verso le persone non davvero coinvolte, quelle che non hanno “skin in the game”.
Quell’empatia alla base della negoziazione in cui si entra in profondo contatto con la controparte si muove tra due estremi. E deve raggiungere un compromesso. Bisogna rimanere se stessi perché anche in una logica win-win si stanno confrontando desideri diversi e spesso contraddittori. D’altra parte bisogna entrare nella testa dell’altro capendone le ragioni profonde. Per farlo bisogna cedere un po’ di ego. È un equilibrio non facile da raggiungere, ma che è alla base di un management che rispetta gli altri, mentre li affronta nel terreno della competizione economica.