È il principale trucco per mistificare e irretire. È anche il grimaldello per innovare e smuovere punti di vista congelati. Il pensiero analogico caratterizza mascalzoni e poeti, sognatori e farabutti.
Cercando nuove idee
Quando serve una nuova idea, elencare tante soluzioni è un buon modo. Farsi una passeggiata sotto i portici anche. Di modi per cambiare prospettiva ce ne sono tanti. Giovanni ne ha raccontati molti in questo nuovo libro. Un approccio che mi piace particolarmente però è uno per cui nutro un rapporto di odio e amore. Quare id faciam, fortasse requiris.
Si tratta dell’analogia. Lo scoprire qualcosa di simile in altri campi. In contesti dove non siamo legati da tutta una serie di pregiudizi e bias cognitivi. E neanche di aspettative e ruoli. Di posizionamento e immagine.
Nella storia esistono diversi racconti sul potere del pensiero analogico. Collegare i puntini. Trovare correlazioni meno evidenti. Spostare il focus. Allargare il range.
Keplero cambia prospettiva
E infatti, proprio in Range, David Epstein parla di pensiero analogico . Ci racconta di Keplero, capace di smantellare un’intera costruzione teorica che guidava da secoli la lettura delle stelle e dei loro moti attraverso una serie straordinaria di analogie.
Tutto nasce quando vede una cometa e si chiede perché mai non abbia, nel suo volo, infranto le fantomatiche sfere cristalline. Quelle che tenevano letteralmente in piedi la nostra idea di come funzionano i moti dei Pianeti e delle Stelle. E in quel momento parte la ricerca per una spiegazione. E così, insieme alle sfere cristalline, le certezze teoriche di secoli sono progressivamente frantumate.
Cosa fa Keplero? Si chiede cosa tenga collegate le stelle, se non sono incastonate insieme. Pensa a delle analogie. Cosa si percepisce a distanza? L’odore, il calore, … Anche la luce “ha il suo nido nel Sole” e illumina gli oggetti senza che essi abbiano un motore interno per produrla. usa termini come “forza” e “potenza”, anziché “anima” e “spirito”. Apre la strada al concetto di “gravità” che arriverà più tardi grazie a Newton.
Perché l’analogia è spesso alla base di uno shift semantico, punto di partenza per molte scoperte. Quella cosa de “le parole sono importanti… chi parla male, pensa male e vive male”. E non innova.
Mai accontentarsi
Continuando nel ragionamento, Keplero si chiede se possa essere la luce a muovere le Stelle. Ma valuta che durante un’eclissi le Stelle non si fermano… Non va bene. Serve una nuova analogia. Non si accontenta.
Aveva appena letto un articolo sul magnetismo. Magari i Pianeti sono come magneti con i poli alle estremità. Le differenti velocità di movimento tra Pianeti e Sole forse dipendono dalle posizioni reciproche dei poli magnetici. Ma anche questo non basta. Il Sole non solo attrae o respinge. C’è un’orbita da spiegare… e allora ecco un’altra analogia.
Il Sole ruota sui suoi assi e forse crea un vortice? I Pianeti sono come barche che girano attorno. Ma perché allora le orbite non sono circolari? L’analogia non basta se nelle barche non si mettono anche marinai… Magari sono loro che con dei remi allungano l’orbita circolare nel vortice… Questo spiegherebbe anche perché i Pianeti non finiscano risucchiati nel Sole.
Il bisogno di coerenza
Ma chi è in questa ipotesi il capitano che dirige le remate dei marinai? Si ritornerebbe agli “spiriti”. E Keplero dice “Nah… Non vorremo mica dare un paio d’occhi a ogni Pianeta…”.
Continua così testando altre analogie: l’ottica delle lenti, le bilance, una scopa, dei magneti, una scopa magnetica, oratori che parlano a una folla e così via.
Alla fine decide che i corpi celesti si attirano l’un l’altro e quelli più grandi tirano di più. E questo lo porta a dire, correttamente, che la Luna causa le maree terrestri. Giusto per dire, Galileo pensava fosse un’idea ridicola…
Keplero ha così inventato l’astrofisica, senza ereditare un’idea di forze fisiche universali da una tradizione antecedente. Doveva partire da un insieme di nozioni inutili. Non si trattava di un percorso progressivo di miglioramento delle attuali conoscenze. C’era da far emergere un pensiero nuovo. Del tutto svincolato da quanto sapeva. Da quanto gli era stato detto.
Ecco. L’analogia ha questo potere. Permette di uscire dal campo d’azione consueto. Impedisce tutta una serie di argomentazioni retoriche per vincolare un pensiero diverso. “L’abbiamo già fatto”, “Non può funzionare”, e così via. Evita queste domande perché semplicemente non hanno senso quando si cambia terreno di gioco.
Splendore e miseria del pensiero analogico
Questa storia ci racconta le meraviglie dell’analogia. Il suo splendore e la sua nobiltà quando si voglia uscire completamente dal dominio. Anche recentemente un’azienda con cui lavoro si è accesa attorno a immagini di castelli e mura da difendere o mari aperti da esplorare. Tutti modi per leggere business model alternativi.
Ma l’analogia nel business non è solo evocazione e ispirazione. È anche studio di possibilità alternative. In un caso un’analogia tra un business model molto innovativo di un’azienda metalmeccanica e l’acquisto di un biglietto aereo è stata foriera di straordinari ragionamenti. In un altro una scuola ha sviluppato un’idea di servizio ai nonni dei suoi alunni studiando un business model logistico.
Ma attenzione. C’è un altro lato della medaglia. Quando non utili per esplorare nuovi punti di vista, le analogie diventano trappole. Che irretiscono l’ascoltatore in uno spostamento semantico fuorviante. Concetti di fisica quantistica applicati alle condizioni ambientali quotidiane sono solo uno dei più evidenti esempi. Un’analogia di questo tipo trascina i destinatari banalizzando spesso concetti complessi.
Recentemente ho sentito un dj radiofonico evocare l’entanglement con la speranza di utilizzare il concetto per prevedere il futuro. E così vale ogni qual volta l’analogia serva per chiudere e non per aprire nuove prospettive.
Come si affronta questo rischio?
Un modo semplice è pensare che l’oggetto dell’analogia sia sempre il problema che abbiamo di fronte. L’analogia non ha fini esecutivi e pratici, ma costruisce linee di pensiero che spaziano al di fuori degli attuali vincoli.
Non traspone nettamente i due campi che vengono confrontati. Va avanti e torna indietro. Ho un problema con certe caratteristiche. Lo osservo in un altro contesto attraverso un’analogia. E torno indietro per far emergere nuove idee nel primo campo. Una direzione di sola andata diventa fuorviante e dannosa.
Il carattere applicativo dell’analogia è rimandato al momento in cui si torna nel precedente ambito d’azione.
E l’ultima miseria del pensiero analogico
Bisogna invece diffidare della somiglianza che accantona il pensiero. A volte serve solo a catalogare qualcosa di insolito in un cassetto ben preciso. A chiudere le prospettive.
Com’è quello scrittore? Ricorda Umberto Eco. Com’è il film? Una copia di Shining. Una definizione rapida e precisa. Che uccide la curiosità e la divergenza. Normalizza e mette in sicurezza.
Riportare cose nuove a concetti noti serve a darci stabilità e continuità. Un senso di controllo. Niente disturba la nostra lettura del mondo.
L’analogia è quindi allo stesso tempo grimaldello per arricchire di sfumature il noto e pugnale per accoltellare ogni nuova idea. Miseria e splendore. Splendore e miseria. Facciamone buon uso.