L’iniziativa è stata del CUOA Business School. Mirava a costruire un ponte tra l’approccio del Lean Thinking e l’economia circolare. Non male davvero. Splendida poi per me l’occasione di essere chiamato a condurre il percorso dedicato alla strategia all’interno di un corso quantomeno originale.
La prima reazione è stata di meraviglia e immediatamente dopo di entusiasmo. La meraviglia nasceva dal vedere il Lean Center, eccellenza nella diffusione del mindset snello, esplorare i legami con un campo apparentemente non così contiguo. L’entusiasmo invece si legava all’evidente, almeno per me, legame culturale che sposava i due ambiti.
Da una parte le filosofie di stampo giapponese che fanno della riduzione degli sprechi il centro di una rivoluzione nel modo di leggere i processi e il valore per il mercato. Dall’altra un’idea di utilizzo sostenibile delle risorse di cui le aziende si nutrono nell’ideare, progettare, produrre ed erogare servizi e prodotti.
Una strategia snella per l’economia circolare?
Se già questo incrocio di due campi prometteva importanti risultati, l’entusiasmo è raddoppiato di fronte alla richiesta di inserire il tutto in un’impostazione strategica rivolta alla gestione di progetti di innovazione.
In altre parole nel progetto si doveva applicare l’armamentario metodologico e culturale legato ai più recenti approcci alla strategia e all’innovazione. La sfida era chiara: indagare il miglior modo per affrontare progetti di economia circolare in una visione Lean.
Sono così arrivato agli appuntamenti con i partecipanti a questo percorso ben preparato.
- Un approccio metodologico molto rigoroso.
- Una serie di attività divergenti ed esplorative.
- Alcune tecniche per sviluppare idee implementabili.
- Infine la gioia di ritornare a confrontarmi con dei manager in carne e ossa in un contesto diverso dalle sessioni di Zoom 🙂
Una scoperta per cui ringraziare Federica
Queste le premesse, ma devo dire che i risultati sono stati superiori alle aspettative. Ne sono uscito con una grande lezione che mi porto a casa. Ho aggiunto un elemento fondamentale al mio modo di leggere la strategia applicata a questi campi.
La lezione appresa deriva direttamente dall’occasione di ospitare all’interno del percorso la testimonianza di Federica Collato di Reverse. Da tempo conoscevo il caso e anche Federica era una conoscenza che risaliva a qualche anno fa.
Ciò nonostante sentire quale sia stata l’evoluzione della sua avventura imprenditoriale è stato interessante e proficuo. Man mano che procedeva il suo racconto emergeva un evidente punto di continuità con altre esperienze simili. Un pattern ben riconoscibile e collegabile con il concetto di trasparenza.
La storia di Federica incrociava aspetti che riguardano il design del prodotto, ma anche iniziative che danno il senso di un impegno non limitato al solo ambito dell’ambiente, bensì implicante degli impatti forti sulla società, tutto all’interno di un equilibrio economico ben presidiato.
Un modello fondato sulla trasparenza?
Oltre all’ammirazione dell’intera aula per il lavoro e l’approccio di Federica, sorgeva una consapevolezza profonda. Sembra scontato, ma non tutte le aziende interpretano la trasparenza come un valore su cui fondare la propria relazione con clienti e stakeholder di varia natura.
Eppure era chiaro. Quando un’azienda fonda il proprio posizionamento e la propria identità su valori riconoscibili che coinvolgono i clienti in un senso di appartenenza a un’avventura comune, non si può prescindere dal costruire una membrana meno rigida tra il mondo esterno e quanto avviene dietro le mura dell’azienda e della sua organizzazione. La progettazione e il processo produttivo diventano elementi da comunicare e valorizzare, non da nascondere e separare dal processo commerciale.
Ogni qualvolta, e i casi di Lago o di Patagonia ne sono esempio chiaro, si crei questa intimità e questa comunanza di visione tra un’azienda e i suoi clienti, la trasparenza comincia a pervadere tutti gli aspetti di un business model.
Tra bilancio sociale e CRM
Il bilancio sociale di cui Reverse è giustamente orgogliosa e di cui gli amici di Kilowatt sono un altro esempio di applicazione brillante diventa quindi naturale conseguenza di un approccio che vede nel coinvolgimento, anche in aspetti potenzialmente critici, dei propri clienti un valore basilare.
Penso all’evento online che ho avuto occasione di vivere con i fondatori di Brewdog durante una assemblea dei soci virtuale. La comunicazione si è trasformata in un momento di relazione profonda svolto attraverso gli schermi dei nostri computer durante le prime fasi della pandemia.
La trasparenza significa così che anche il marketing sposta i propri contenuti dalla spiegazione di un prodotto o di un servizio al racconto del processo che sta dietro l’erogazione o la fruizione di questi output.
Come mi spiegava qualche anno fa Diego Paccagnella con grande efficacia, la progettazione, l’ideazione, lo scambio di visioni, gli errori e la passione di tutti coloro che costruiscono un valore per il mercato diventano un elemento di narrazione.
Questa narrazione (che ha ispirato anche la decisione sul nome Sharazad) ribadisce il carattere fondante di brand aperti e centrati su quello che sembra un arido acronimo, ma che in realtà sottende importanti elementi di valore, cioè il CRM.
Non a caso del Canvas che descrive il modello di Patagonia nell’ultimo libro di Alex Osterwalder il riquadro del CRM rappresenta un elemento fondamentale.
E il Lean Thinking?
Questo non significa che la trasparenza sia un fattore chiave per ogni modello di business e ogni impostazione di mercato. Diventa invece imprescindibile fattore nella costruzione di una strategia coerente con chi voglia sviluppare un progetto di economia circolare.
Il Lean Thinking in questo senso dà strumenti per far emergere il valore che si nasconde dei processi interni e diventa quasi il primo fornitore di contenuti fondamentali per chi, dall’altra parte dell’organizzazione, si occupa di vendite e marketing.
Mai come in questo tipo di iniziative la separazione tra il backstage che il frontstage diventa obsoleta e controproducente.
Conclusioni
Apparentemente la coerenza tra Lean ed economia circolare appartiene al campo che riguarda la riduzione degli sprechi:
- sprechi di processo e attività a non valore aggiunto per il mercato,
- sprechi sociali e ambientali che non rendono sostenibile un modello di business.
Questa lettura trova dei riscontri più profondi quando si esamina il tema della trasparenza e della rapporto con il mercato.
Quando le aziende vogliano posizionarsi su un’identità culturale e un impegno sociale e ambientale reale e autentico diventa imprescindibile costruire un’identità fondata su relazioni profonde con i propri clienti.
Senza però rimanere incastrati in una logica di nicchia che non si apre al di fuori dei confini culturali.
Inevitabilmente questo tipo di strategia pone un accento rilevante quindi sul tema della formazione intesa come strumento di allineamento valoriale interno e come educazione al mercato.
L’esempio di Slow Food e dei suoi laboratori del gusto è chiaramente riferibile a questo tipo di logica.
La sensibilizzazione attorno a temi ambientali e sociali diviene così sia strumento di miglioramento dell’attitudine verso questi temi, sia modo per allargare e arricchire i segmenti di mercato a cui è possibile rivolgersi.