Incontro quotidianamente team aziendali votati all’innovazione tecnologica. Sono storie positive. Di gente che ce la fa. Impegnandosi, pensando, eseguendo. Sono persone appassionate del loro lavoro e dei metodi per farlo funzionare. Nell’innovazione spiccano approcci come Lean Startup, Agile e Design Thinking. I progetti che ne nascono sono spesso sorprendenti. Il racconto che ne deriva è quello di un’intelligenza al servizio del progresso. Tutto bene. O quasi…
Sono sempre più interessato alle dinamiche sociali che la modernità sta determinando attorno a noi. Digitale e innovazione tecnologica stanno rimescolando occupazioni e competenze. E molti non la stanno prendendo bene.
Il report di qualche tempo fa di McKinsey non lascia molti dubbi.
Paura per il futuro e vertigini tecnologiche sono il sintomo di un disagio attorno alla velocità del cambiamento. Senza inoltrarmi in sdrucciolevoli campi sociologici, penso che il management, e in particolare quello che si occupa di innovazione tecnologica e non solo, abbia qualcosa da suggerire sull’argomento. E più che un’opportunità, questo è un dovere per i “vincenti della globalizzazione”. Questo qualcosa ha a che fare anche con la Milano del titolo. Ma ci arriverò per tempo.
Onnivori indecisi
La prendo un po’ larga. “Il dilemma dell’onnivoro” è stato un libro importante per il contenuto, ma anche per la tecnica di reportage giornalistico che l’autore mette in piedi. Un’indagine in cui si mette davvero in gioco, “skin in the game”. Nell’ultima parte Michael Pollan si spinge a esplorare un terreno per lui molto difficile e sconosciuto. Quello della caccia e della raccolta.
Nel suo viaggio attraverso il mondo dell’alimentazione, dopo l’industria e l’artigianato biologico, si pone nelle condizioni di un nostro antenato alla ricerca di un rapporto diretto con la natura di cui si nutre. È un passaggio non facile, ricco di scrupoli morali e intellettuali. Il confronto con il mondo vegetariano e vegano o il timore di ricadere in cliché alla Hemingway sono presenti continuamente.
Eccezionale il momento in cui guarda incredulo le foto dopo la battuta di caccia ai maiali selvatici della California. Immagini in cui non riesce a riconoscersi. Immagini da cui traspare una condizione non comunicabile nella sobrietà della scrittura sviluppata nelle settimane successive.
In un ulteriore passaggio, parlando di funghi, si manifesta tutta l’incertezza delle condizioni in cui il protagonista si muove. Il rapporto tra esseri umani e funghi è infatti un esempio particolare ed estremizzato del dicotomia tra neofilia e neofobia. Tema questo centrale nella storia di noi onnivori e più in generale della nostra specie. Poter mangiare tutto infatti vuol dire rischiare molto.
Come rapportarsi con la novità se da un lato siamo sedotti dai possibili risultati, ma dall’altro temiamo di andare incontro a dolorose sconfitte?
L’innovazione e il compito dell’esperto
Il libro dice che dai libri non si può apprendere molto e che l’esperienza reale risulta quella fondamentale. Un’esperienza che però si fonda sulla condivisione di conoscenza tra gli esseri umani. Affidarsi agli esperti è parte di questo processo. Ma gli esperti devono saper relazionarsi in modo opportuno con chi ha bisogno del loro aiuto.
Dopo aver letto molti manuali per la raccolta di funghi potremmo essere ancora molto incerti sulla nostra capacità di riconoscere una spugnola o un gallinaccio, ma se andiamo nel bosco insieme a una guida che è sopravvissuta a tutte le sue precedenti raccolte, non ci facciamo più intimorire dai rischi.
L’esperto ci aiuta in due modi. Il primo è quello di portarci a un’esperienza diretta e a un confronto immediato con la realtà. L’altro è quello di fornirci un’utile guida nel processo di apprendimento e crescita.
Innovazione e Apprendimento
Questo della crescita e della traction che ne sta alla base è un altro del capisaldi della cultura dell’innovazione più recente che si può scoprire in libri come Traction e Growth Hacker (sì proprio nella collana in cui c’è anche #Maker).
Un giorno Marco Grazioli di Ambrosetti mi disse “di non leggere libri, ma di conoscere le persone che li scriveranno”. Negli ultimi decenni il tema dell’innovazione si è intrinsecamente legato a quello dell’apprendimento. Per affrontare un mercato minimizzando i rischi di vedere la propria idea rigettata, bisogna conoscere al meglio il cliente e le sue caratteristiche.
Apparentemente semplice, ma nei fatti di difficile pratica. Gran parte dei metodi che il marketing ha tradizionalmente fornito per l’esame del mercato si rivelano poco utili quando davanti a noi si profila una condizione nuova e sconosciuta. I Focus Group, le Sales Call e tutto l’armamentario del marketing vedono tempi, costi e risultati inadeguati al compito.
Tentare diverse strade, testare, comprendere, acquisire una certa conoscenza del mercato in maniera progressiva, “iterativa” direbbe Eric Ries, è il metodo più intelligente per affrontare l’innovazione, compresa l’innovazione tecnologica. Serve superare quella stasi che si verifica quando neofilia e neofobia si intersecano.
Lo spirito di Milano e il dilemma dell’innovazione
Girare a piedi la Gran Bretagna e attraversare gli Stati Uniti on the road sono esperienze che mi hanno insegnato molto, anche se quel che ho appreso lo capisco forse solo ora. Ora che giro le aziende in tutta Italia e noto le stesse cose.
C’è un’apparente contraddizione in territori che puntano all’innovazione digitale più futuristica e allo stesso tempo vedono fenomeni di regressione e conservatorismo che ci eravamo dimenticati.
Visitare Milano e poi girare nelle province della Lombardia può dare il senso di una dualità di approccio nell’affrontare il nuovo. Neofilia e neofobia che si intersecano e separano. Come per gli onnivori di fronte a un fungo forse velenoso… Le due ataviche tendenze al rischio e al rifiuto del nuovo, invece di integrarsi positivamente nello stesso luogo, si manifestano in una polarizzazione geografica tra centro e periferia. L’esito sono i fenomeni visti nel mondo anglosassone negli anni più recenti.
Una piattaforma per affrontare l’innovazione tecnologica
Ma è possibile proporre un percorso di sviluppo che non tenga conto di chi rimane indietro? Apparentemente sì, ma poi il conto arriva. Le reazioni sgraziate e a volte violente di chi ha perso il treno dell’innovazione sono in realtà grida d’aiuto.
Qualche settimana fa l’Amministratore Delegato di un’azienda mi ha confidato la sua difficoltà nell’affrontare un reparto della sua organizzazione. Risorse che lavorano da molti anni nello stesso contesto. Abitudini inveterate. Un percorso condiviso con lo stesso AD. Un percorso professionale, ma anche umano. E oggi quel reparto si trova in crisi di fronte all’innovazione tecnologica. Le persone si sentono svuotate delle competenze su cui fondavano il proprio valore. Ma esternalizzarle o ristrutturare il reparto è l’ultima opzione. C’è troppa cultura e capacità da riconoscere e valorizzare. Apparentemente è un gruppo di persone che non sta al passo coi tempi. Ma in verità è l’opportunità per dare una profondità umana a processi automatizzati altrimenti banali. Serve un passo avanti da parte delle persone, ma anche da parte del management. Questa del cambiamento tecnologico assomiglia stranamente alla battaglia per far indossare le scarpe antinfortunistica in fabbrica.
La paura cavalcata da tanti leader improvvisati non deve indurre nella tentazione di confondere chi cavalca l’angoscia di tante persone perse nella modernità con le persone stesse.
È un dovere imprescindibile di chi sa muoversi nello spazio incerto dell’innovazione quello di aiutare gli altri. Ne va del loro bene, ma anche del suo. Altrimenti il lamento sulla perdita di valore della scienza e degli esperti diventa solo un arroccarsi in torri inespugnabili in cui far languire il proprio orgoglio.
L’innovazione e l’era dell’Agile
Affrontare le paure e le incertezze del nuovo, sia in ambito di business che in ambito personale e sociale, richiede una piattaforma adeguata.
In The Age of Agile, Stephen Denning mi aveva sorpreso e un po’ lasciato perplesso quando ha ricondotto la cultura Agile a un approccio al cambiamento sociale. Sembrava una forzatura, ma sempre più mi rendo conto di quanto fosse invece fondamentale portare quelle idee nell’ambito più politico e sociale. Le diverse metodologie per la gestione dell’innovazione tecnologica che spesso propongo in questo sito (Design Thinking, Agile, Lean Startup) sono una base per gestire il rapporto tra esperti e cittadini. Fuori dagli ambiti ristretti del mondo aziendale dove però si possono scoprire pratiche straordinarie che possono diventare un riferimento ideale per dare prospettive più positive a chi si sente ora minacciato da un cambiamento che non sente sotto controllo.