Cosa abbiamo imparato dopo venti progetti AI

Oggi sveliamo i trucchi del mestiere. Si parla di AI ovunque. Ci si inquieta e ci si esalta. Spesso si strabuzzano gli occhi. Ethan Mollick dice che “se non abbiamo passato tre notti senza dormire” significa che non abbiamo ancora capito cosa abbiamo davanti.

In tutto questo parlare, Sharazad ha avuto la fortuna (e forse un po’ il merito) di aver lavorato in questi mesi su progetti reali insieme a molti clienti. Non abbiamo tralasciato gli aspetti più profondi ed esistenziali della materia, ma un istinto pragmatico ci ha detto che “diecimila ore di lavoro” possono darci il senso di ciò che davvero è il cambiamento che abbiamo di fronte.

In questo post proviamo a delineare quel che abbiamo appreso. Niente decalogo, anche se in fondo proviamo a dare qualche regola generale. Piuttosto una lezione su come affrontare l’adozione di soluzioni di GenAI nel business. Ne esce un’idea di un possibile percorso sorretto da tool originali.

1. Il punto di partenza

Serve partire dal compianto Daniel Kahneman. Non mi riferisco ai bias e alle euristiche, ma al suo recente monito sulla priorità dell’affrontare il Noise, il rumore che pervade le nostre organizzazioni di fronte a sfide complesse e incerte.

Che è proprio per molti il caso della sfida posta dall’AI generativa, tecnologia minacciosa e al tempo stesso entusiasmante, che può aiutarci molto, ma anche metterci in grandi difficoltà.

Diceva Daniel che, quando grande è la confusione attorno a noi, meglio è prima di tutto allineare le persone e poi cominciare progressivamente a mirare meglio il bersaglio. Prima sbagliamo insieme e poi arriveremo, insieme, tra un errore e un altro, alla meta.

È per questo che abbiamo consolidato un workshop di una giornata destinato ai responsabili aziendali o comunque alle persone che hanno un possibile ruolo di guida e stimolo verso l’adozione della GenAI.

Si tratta di una fondamentale giornata in cui non si parla di tecnologia, ma di impatto sul business. Un gioco iniziale, in stile Sharazad, rubato a Luciano Floridi, per comprendere l’ambito in cui si muove bene (molto bene) l’intelligenza artificiale generativa e quello in cui invece si mantiene fondamentale il ruolo dell’essere umano.

Poi si passa qualche dato su cosa succede nelle aziende quando si adotta la GenAI.

E infine, per la massima parte del tempo, vediamo una carrellata interattiva di casi d’uso sempre più affascinanti. E sempre aggiornati perché ogni settimana serve cambiare le slide… E poi, per rilassare i partecipanti, qualche gioco e simulazione, tratti da “Degooglizziamoci” ed “Escape GPT”.

Obiettivo raggiunto. Management allineato sulle potenzialità e pronto ad attivare percorsi di adozione.

2. Prima il business

Il secondo step deriva da una concezione forte alla base del lavoro di Sharazad. La tecnologia, parole di Kentaro Toyama, “è un amplificatore”, ma alla base stanno modelli di business e processi gestionali e operativi che funzionano.

Quindi anche in questo caso non si parte dalle offerte dei vendor tecnologici (Microsoft e Salesforce stanno facendo una pressione non da poco), ma dalla valutazione degli obiettivi strategici dell’azienda e dei diversi manager.

L’identificazione di Business Challenge prioritarie permette di focalizzare le energie su soluzioni in linea con gli obiettivi più generali dell’azienda.

Si tratta di un passaggio necessariamente rapido (in particolare per le aziende che hanno già una forte consapevolezza del proprio business model), ma essenziale per gli step successivi.

Abbiamo svolto con comitati strategici o con singoli manager, sezioni di focalizzazione sulle sfide e sempre in questa fase è stato essenziale rimuovere la tecnologia dal discorso. Tecnologia che torna in campo negli step successivi.

Al bivio

Qua si arriva a un bivio. È una cosa che abbiamo imparato di recente. Ci sono due macro traiettorie di adozione dell’intelligenza artificiale generativa.

Le abbiamo denominate Top down e Bottom up.

3a. Dal basso

Partiamo dalla seconda. Ammettiamolo. Esiste un processo viscerale, che opera dal basso e che sta avvenendo indipendentemente dalla volontà del management. Molti dipendenti, nel silenzio, stanno sperimentando, esplorando, costruendo una competenza nell’utilizzo di strumenti come ChatGPT.

È un percorso basato su soluzioni “a scaffale“ che stanno definendo sempre più uno standard a disposizione di tutti. Microsoft Copilot erompe come a suo tempo ha fatto Excel. Gemini e Claude si alternano a ChatGPT. I GPTs di OpenAI si fanno strada nella standardizzazione di procedure complesse. E poi tante app (ne abbiamo finora esaminate 987) compaiono quotidianamente per migliorare il nostro lavoro.

È un processo virtuoso. Dà una sferzata alla produttività individuale e migliora progressivamente i processi aziendali. Ma presenta molti rischi, in particolare relativi alla sicurezza dei dati. Inoltre ha la forte possibilità di divenire caotico e slegato dalle priorità dell’azienda.

Pur amando l’intraprendenza individuale in questi percorsi di esplorazione, male non fa un coordinamento che colleghi gli utilizzi emergenti agli aspetti centrali del business e che permetta una condivisione delle migliori scoperte fatte dai singoli individui.

3b. Top down

Un secondo percorso invece ha un’ambizione più alta. Chiede un esame più profondo delle ragioni del cambiamento. È quello che mira a sviluppare dei casi d’uso originali attorno alle sfide strategiche più significative dell’azienda.

L’obiettivo è ridare, come detto, priorità al business e di scegliere cosa sviluppare in termini tecnologici solo a fronte di una vera necessità collegata alla strategia aziendale.

Su questo percorso l’esperienza di Sharazad comincia a essere consistente e l’adozione di un “framework” di analisi appositamente sviluppato (principalmente grazie al pensiero e alla pratica di Matteo) ha permesso di ottenere ottimi risultati.

Quello principale è la costruzione di una “roadmap di casi d’uso” progressiva centrata su sfide strategiche. Il framework, anziché puntare a una classica mappatura di processo, propone una chiave di analisi diversa e più adatta all’intelligenza artificiale generativa.

Il trucco è mettere al centro la knowledge base aziendale e la sua “journey”. La chiave interpretativa è che l’intelligenza artificiale generativa agisce al meglio nell’interfaccia tra elementi di conoscenza ed esseri umani. Ma è un discorso lungo e ci torneremo in altri post.

4. Formarsi?

Sì… Abbiamo anche sviluppato tutta una serie di contenuti formativi verticali su diversi tool disponibili sul mercato e il progetto degli AI Angels ha aiutato in modo determinante.

Sporcarsi le mani e fare le diecimila ore di esperienza summenzionate continua a essere il modo migliore per approcciare qualsiasi novità tecnologica, in particolare una di cui tanti parlano, ma di cui non tanti possono vantare una reale esperienza.

Ah sì… Il Decalogo!

No. Niente decalogo, ma tre consigli sull’attitudine da assumere…

a. “Abbiamo di fronte la peggior versione di AI che vedremo” -> il progresso degli strumenti è rapidissimo e non fermiamoci alla prima allucinazione.

b. È una tecnologia alla ricerca di casi d’uso -> la magia della genAI è davanti a noi, ma serve il nostro sforzo per inventarci cosa farne.

c. Non dobbiamo battere i robot -> Non approcciamola come una sfida per sconfiggerla. L’atteggiamento deve essere di curiosità e voglia di sperimentazione.

By stefanoschiavo