Essere più stupidi? TikTok, il web e la gestione di brand e team

Ascoltavo oggi la tavola rotonda “Comunicare ai tempi di TikTok” di Franco Angeli Digitale. Era uno dei tanti interessanti webinar che questo periodo ci mette a disposizione. Paolo Schianchi ha spiegato la sua esperienza raccontandoci un mese con TikTok. Diversi gli spunti, ma uno mi ha colpito più degli altri.

In TikTok non cerchi un’audience, sono gli altri che ti cercano. È una differenza profonda con i social network cui siamo abituati.

La domanda nasce immediata. Come fai a farti trovare?

Beh. Devi essere ben caratterizzato. Devi avere una dimensione chiara che possa essere riconosciuta dagli altri.

E poi altre cose, ma questo primo aspetto mi ha acceso una serie di lampadine.

L’uomo a una dimensione

Una reminiscenza di letture giovanili. L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse. Opere lontane nello spirito e nei tempi. Superate in quasi tutto. Rimangono ancora echi di alcune intuizioni.

Alcuni pensatori negli anni ’50 e ’60 hanno provato a metterci in guardia rispetto alla scomparsa di un pensiero critico. Sia in società democratiche e liberali. Sia in quelle autocratiche e illiberali.

Herbert Marcuse descriveva una società occidentale in cui la ricchezza di sfumature perdeva valore. Dove la dimensione acritica prevaleva. Il pensiero non omogeneo con quello predominante non trovava posto. Era lo stesso processo che burocratizzava le società comuniste del tempo.

Ovviamente per pensiero critico non ci dobbiamo riferire a complottismi e bislacche teorie pseudoscientifiche. A MMT o terrapiattismi. Il pensiero critico è quello del metodo scientifico. Dei F***g Genius di Massimo Temporelli e di Thomas Kuhn.

Oggi trionfa, negli algoritmi dei social network, la specializzazione.

La dimensione riconoscibile. La si vede nella mancanza di sfumature dei tag. La si nota nell’immediatezza di ogni messaggio. Nei pochi caratteri di Twitter. Nel breve tempo delle Stories. In TikTok. Non c’è spazio per un pensiero non immediato e superficiale. Contano le connessioni. Le condivisioni. Le reazioni.

E, non me ne voglia Herbert, forse non è un male.

Be stupid

Seth Godin spiegava come ogni cliente veda nel suo fornitore uno specialista. Anche per il generalista, per quanto capace di parlare a segmenti molto grandi, diventa fondamentale cogliere le specifiche esigenze e priorità. Il Design Thinking, l’Agile Management, il Lean Startup si focalizzano sulla capacità empatica di comprendere il cliente.

Quindi è fondamentale parlare a ognuno secondo le sue aspettative. Raccontare altro rischia di distogliere l’attenzione. Arricchire di feature il proprio prodotto. Mostrare tutte le sue potenzialità disturba. Quella che potrebbe essere una caratteristica nice-to-have si trasforma in una killer feature.

Ancora una volta si vede che un racconto troppo aperto, curioso e complesso rischia di essere un boomerang quando ci confrontiamo con un cliente focalizzato sui propri pain & gain.

È il trionfo della strategia di posizionamento su TikTok.

Ma va sempre bene così?

Boris Johnson e il coronavirus

Le cose stanno già cambiando, ma la strategia annunciata dal Regno Unito per affrontare il coronavirus ha destato molto scalpore nel mondo. Sostanzialmente mirava a lasciar diffondere il virus. A raggiungere la cosiddetta immunità di gregge. A difendere il più possibile i soggetti più a rischio. Ma prevedendo una serie di persone che verranno a mancare prematuramente.

Le reazioni sono state per lo più di scandalo alle nostre latitudini. Si trattava di qualcosa che urtava l’empatia che tutti abbiamo per i malati. Quelli che vediamo coi nostri occhi sugli schermi. Ogni discorso che cerchi di porre una valutazione più ingegneristica diventa sgradita. Eppure Boris Johnson ha avuto il supporto di importanti studiosi. Con tanto di modello matematico. Dicevano, per metterla giù in modo semplicistico, che ci saranno meno danni nel medio periodo attraverso un approccio meno empatico.

Sembra un caso perfetto per le tesi di Against Empathy di Paul Bloom. L’empatia non è lo strumento migliore per prendere decisioni. In particolare quando la relazione con soggetti particolari oggi ci possa far perdere di vista le conseguenze nel medio periodo. Essenzialmente la visione inglese si lega a valutazioni più razionali. Il lockdown di un Paese potrebbe salvare delle vite oggi, ma avere delle conseguenze gravi per la sostenibilità dello Stato nel medio periodo. E lo dicevano scienziati ed epidemiologi.

Eppure qualcosa mancava

La marcia indietro di questi giorni sembra evidenziare una storia incompleta.

Gli esperti hanno subito chiesto di esplicitare le assumption su cui si basava il modello. Questo non solo perché serviva, in uno Stato democratico, un confronto aperto. Ma anche perché volevano analizzare le aspettative comportamentali di quel modello. C’era la consapevolezza che la strategia si doveva basare su aspetti non solo tecnici, ma anche psicologici.

Proprio la mancanza di questa seconda dimensione nella proposta inglese è balzata agli occhi di tutti. Serviva una ricchezza progettuale che integrasse competenze molto diversificate. Proprio nel Paese dove gli psicologi comportamentali hanno fatto i primi esperimenti in ambito pubblico, sembrava mancare proprio questo aspetto.

Multidimensionalità

Ho raccontato questi eventi ancora in sviluppo perché mostrano chiaramente i limiti di quell’approccio specialistico cui ci spinge apparentemente il mondo digitale. TikTok, cinese, porta al limite questo percorso.

Un personal branding che racconta un solo lato è penalizzante. Va contro la ricchezza della nostra eredità rinascimentale. Pico della Mirandola e Leonardo da Vinci si nascondono nel nostro DNA. Non possiamo limitare la curiosità, la lettura della complessità, la visione umanistica che studia l’uomo nelle sue sfaccettature.

Come tenere insieme l’esigenza corretta di non disturbare chi ci ascolta e la difesa di una cultura aperta e non banale? Come interessare chi cerca le nostre competenze o i nostri prodotti e allo stesso tempo esplorare diverse strade?

Ci sono due direzioni possibili.

  • Una, individuale, passa attraverso la capacità di presentarsi sotto diverse forme in diversi canali.
  • Un’altra riguarda le organizzazioni e richiede la capacità di far convivere competenze e professionalità divergenti e complementari.

Un professionista proteiforme

Qualche giorno fa mi ha chiamato Massimo. Mi ha chiesto di partecipare a un progetto. Sarei stato essenziale per il mio approccio alla business innovation fondato su un’esperienza ricca e concreta. Il Design Thinking portato in ambiente business. La capacità di comunicare con piccoli imprenditori dinamici e cinestetici.

Un mese prima mi trovavo da Laura e Michele per un progetto molto significativo. Il Customer Development applicato a un’azienda multinazionale. La mia capacità di leggere ambienti formali e organizzati sarebbe stata fondamentale. Si trattava di adattare principi di Agile e Lean Startup, tipici di piccoli team, in un contesto molto strutturato.

Massimo, Laura e Michele mi hanno spiegato perché mi volevano a bordo per motivi addirittura opposti. Frutto di una attitudine proteiforme. Veicolare contenuti e identità diversi su differenti canali di comunicazione.

Rimanere molto focalizzati su una dimensione specifica per un certo canale. Mostrarsi con caratteristiche diverse in altri. Sempre adattandosi alle aspettative e alle priorità della nostra rete relazionale. Senza cadere nella tentazione di voler esprimere in tutto noi stessi.

Senza aggiungere niente a quello che sappiamo fare, ma con la giusta capacità di emergere su TikTok ballando sulle note di Capture.

Non va sempre bene. Erika mi ha detto che non mi hanno chiamato per un progetto di business coaching perché ero adatto a contesti molto più strutturati. La settimana prima avevo finito con grande soddisfazione un progetto analogo per una piccolissima azienda a qualche chilometro dalla sua sede…

Il mio è un esempio, ma vale per qualsiasi professionalità. La ricchezza di sfumature non è mai un ostacolo. La curiosità è una risorsa. L’accortezza è essere capaci di focalizzarsi sulle priorità degli altri. Coltivare complessità, ma esprimere il contenuto giusto ascoltando chi abbiamo davanti.

Possiamo stare su TikTok. Ma allo stesso tempo appartenere in modo aperto ad altre cerchie relazionali.

Una squadra improbabile

I team di lavoro hanno bisogno di esprimere la diversità. In ambiti tecnici il grado di profondità di ogni persona coinvolta in un progetto è estremo. Non possiamo chiedere una conoscenza troppo estesa. Ma possiamo far interagire nel modo corretto persone complementari.

Si deve eliminare l’effetto omologante e di chiusura dell’HIPPO (HIghest Paid Person in the Office). Bisogna rimuovere il blocco alla divergenza dei gruppi troppo omogenei. Ci sono soluzioni organizzative che nascono in ambito Design Thinking utili a questo e che ho descritto in molti post.

Si tratta più di lavorare su una mediazione di carattere culturale. Far parlare designer e ingegneri, commerciali e tecnici. Come nei famosi esempi di Olivetti e Facebook.

Conclusioni

C’è un profluvio di informazioni che ogni giorno ci giunge sugli schermi di smartphone e computer. Ognuno dice la sua su tutto. Molti si improvvisano virologi e ingegneri civili, esperti di marketing ed economisti.

L’effetto Dunning-Kruger incombe ovunque. Reagiamo con sempre più insofferenza a questa situazione, che sembra non dare segni di diminuzione.

Eppure questo non ci deve spingere all’estremo opposto.

Il rifugiarsi nell’apologia della specializzazione rischia di farci perdere letture laterali. Rischia di portarci a quel caso descritto nell’esperienza inglese con il coronavirus. Di farci cadere in quella monodimensionalità tanto cara ai contesti illiberali e alle società chiuse.

Gestire la complessità è difficile. Richiede sforzi importanti, capacità di adeguamento al contesto e ascolto di chi ci circonda. Serve mantenere un equilibrio difficile tra l’esplorazione individuale di spazi innovativi e focalizzazione sulle problematiche dei clienti. Curiosità e focalizzazione.

Come al solito partiamo da problemi specifici e, dentro i confini di questo frame, allarghiamo al massimo il range di soluzioni che possiamo sviluppare, sempre però congruenti con le richieste individuate. Pronti, come sempre, a cambiare il frame.

By stefanoschiavo