Essere buoni costa. La sostenibilità e l’obbligo alla trasparenza

Torno su un argomento che caratterizza molti dei miei più recenti progetti. Ho avuto infatti tante opportunità di confronto con imprenditori coinvolti nell’evoluzione del business nell’ottica della sostenibilità. Le varianti e i tecnicismi in questo ambito sono molti. Riguardano la declinazione stessa del concetto. Green economy. Sustainable masters. Social impact. Circular economy. E così via. Ma non saranno importanti in questo post.

Per non essere frainteso, sono cose diverse e hanno un’impostazione che non si sovrappone nettamente. Nel discorso generale però si trovano ad essere accomunati in business model che hanno a cuore la sostenibilità, il consumo delle risorse, la salvaguardia del Pianeta.

Quelle iniziative raccontate anche da The Clother*, come ci segnala Paolo Iabichino.

La massimizzazione del profitto

Abbiamo già parlato del tema. Nell’analizzare il business model di Patagonia descritto da Alex Osterwalder in The Invincible Company, emergeva chiaramente un aspetto.

Why Yvon Chouinard doesn’t want you to buy Patagonia — and doesn’t want your money.

Chi si preoccupa della ricaduta del proprio progetto su soggetti (aka stakeholder) diversi da “clienti” e “proprietà aziendale” riscontra un inevitabile peggioramento nella struttura dei costi.

Essere buoni costa.

Ma “bontà” e “generosità” esprimono completamente questo tipo di approccio? Si tratta davvero di una questione etica?

Milton Friedman

La diatriba è molto vecchia. Non serve scomodare Milton Friedman per capire che un’azienda funziona se chi ci ha messo il capitale si ritrova soddisfatto dell’investimento. Il modo per misurarlo è semplice e consolidato.

Cosa ha a che fare quindi con l’economia un’attenzione sulle ricadute ambientali e sociali del business? O meglio, come possiamo pensare alla volontà di curarsi di ciò che ci circonda senza ricorrere alle pur fondamentali motivazioni morali o etiche?

Nel lungo periodo…

La risposta probabilmente sta nel fattore tempo.

La massimizzazione del profitto o del valore per i soci dà benzina all’economia. Ma è una benzina incendiaria se viene guardata solo nel brevissimo tempo. Il comportamento opportunistico che guarda al giorno dopo non vede un ambiente in cui si muove un soggetto economico che non è separato dalla società in cui vive. Fare la fine di Maria Antonietta o doversi chiudere in casa a causa dello spillover di un virus nella foresta amazzonica non è piacevole per nessuno.

La logica è di medio periodo (perché nel lungo sappiamo dove siamo tutti). Bilancia un rendimento dell’investimento con una continuità di business. Permette di ragionare su un ruolo che deve tener conto degli attori coinvolti dalla propria azione. Allarga la visuale al di fuori dei soli clienti.

  • Fa pensare al benessere dei dipendenti, alla loro crescita e soddisfazione
  • Fa valutare le reazioni della società coinvolta nei risultati del nostro lavoro
  • Porta la questione di un ambiente mai così a rischio di essere travolto dall’azione umana
mesi più caldi

La sostenibilità sostenibile

Ma un business model che, per ragioni nobilmente economiche, prende a cuore queste questioni attiva costi e impiega risorse che diventano un peso rispetto ai competitor.

Solitamente una struttura dei costi penalizzata deve essere affrontata con misure ben conosciute. Escludiamo che sia il caso di tagliare le inefficienze più di quanto non si faccia già nella gestione normale di un’azienda.

Perché quei costi aggiuntivi siano coperti da ricavi adeguati a soddisfare le esigenze dei soci ci sono due vie.

  • I volumi di vendita hanno un incremento straordinario rispetto a un business indifferenziato.
  • I clienti, consapevoli degli sforzi e dell’impegno profuso, sono disposti a pagare di più. Premium price, in gergo.

E la trasparenza?

È da qui che si evince che un business model votato alla sostenibilità richiede un cliente consapevole e fiducioso.

Consapevole perché educato a comprendere motivazioni e valori dell’azienda. Fiducioso perché deve credere che quanto detto e dichiarato sia anche fatto nella realtà.

Per ottenere un mercato di questo tipo serve allora una impostazione chiara rivolta verso la trasparenza.

Il backstage aziendale diventa frontstage. Il primo commerciale è la persona che lavora dietro le quinte. Che attesta e mostra le modalità reali con cui quanto raccontato viene svolto. È in generale centrale, per chi fonda su un rapporto preferenziale e da lovemark le relazioni con il mercato, esporsi e costruire la fiducia dei clienti. Ma per chi si posiziona nei modelli di business della sostenibilità, questo aspetto diventa cuore della strategia aziendale e del marketing.

Lean & Green

Il “disvelamento” richiede un’impostazione adeguata dei processi interni. Quella che solo un approccio Lean, con al centro il valore creato per il mercato, riesce a produrre.

I cinque principi che caratterizzano la filosofia di matrice giapponese sono prerequisito per un’impostazione di mercato coerente con posizionamenti legati alla sostenibilità sociale e ambientale.

Vedremo questa connessione nel dettaglio in un bel workshop organizzato da CUOA Business School dal titolo evocativo di Lean & Green.

By stefanoschiavo