
CUOA Business School ha deciso di scoprirlo sul serio. Ha affidato a un agente conversazionale il compito di ascoltare la propria Faculty e raccogliere visioni, dubbi, pratiche reali e scenari futuri sull’uso dell’intelligenza artificiale nella didattica. Ne è nata un’indagine sui generis, presentata durante la prima Faculty Convention del 1° luglio: un evento che ha messo al centro il rapporto tra AI e formazione, con l’ambizione di diventare appuntamento annuale.
Nessuna demo. Nessuna teoria. Solo uso reale.
Il quadro che emerge è netto:
- il 97% dei docenti CUOA vede l’AI come un alleato,
- il 44% la usa già per preparare materiali e contenuti,
- solo il 37% dichiara di non utilizzarla affatto, spesso per motivi pratici più che ideologici.
A condurre le interviste è stata un agente AI progettato con rigore: niente script rigido, tono formale, attenzione al GDPR, domande adattive e non ripetitive. L’output? Interviste dense (oltre 17.500 caratteri medi), uniformi, scalabili. Un corpus ricco di dati, ma soprattutto di intuizioni, che fotografa lo stato dell’arte tra sfide didattiche, metodi, strumenti e prospettive.

Sguardi dalla cattedra
Tra le risposte dei docenti, spuntano alcuni dettagli che parlano più di mille grafici:
- Un docente propone il classico gioco del “cubo di carta” come simulazione aziendale con budget, materiali e preferenze cliente — l’AI, dice, è già utile per personalizzare dinamiche e varianti.
- Un altro ha sviluppato un agente AI personale, alimentato dalle sue slide e note, per personalizzare i corsi per ciascuna azienda cliente.
- C’è chi immagina un avatar docente sempre disponibile anche dopo il corso, come memoria aumentata per gli studenti.
- Alcuni utilizzano già tool in tempo reale in aula per ottenere feedback e modificare contenuti “on the fly”, altri li impiegano per generare quiz, rubriche di valutazione o addirittura scenari di role playing automatizzati.
- Come ha scritto un docente: «L’insegnamento basato sui contenuti è superato. Oggi ciò che fa la differenza sono le esperienze formative».
Non manca chi è più scettico o selettivo, soprattutto per quanto riguarda la creatività o l’autenticità dell’apprendimento. Ma anche chi non usa ancora l’AI lo fa per motivi di contesto o tempo, non per diffidenza.
Fuori da Villa Valmarana
Il confronto con lo scenario esterno è meno rassicurante:
- solo 1 scuola su 10 in Italia ha una policy formale sull’uso dell’AI;
- nelle imprese, l’adozione è schizzata al 72% in un solo anno;
- negli USA, 1 docente su 3 ha già provato modelli generativi in aula.
Il divario tra pratica e governance è evidente. E rischia di frenare proprio chi dovrebbe accelerare.

La slide che vale l’evento
Nel fitto pomeriggio di talk e casi reali, la svolta è arrivata da una slide. La terzultima di Giuseppe Zollo. Una mappa delle abilità cognitive su cui l’AI può collaborare — e di quelle in cui l’umano resta insostituibile. Non un manifesto ideologico, ma uno strumento operativo. Utile per decidere dove usare l’AI, come farlo e con quali criteri valutare l’efficacia.
Per Zollo, il docente aumentato è un AI Worker che agisce su tre fronti:
- garantisce l’affidabilità (trust),
- guida la produzione (text),
- affina il senso e lo stile (taste).
Non delega, orchestra.
Un patto educativo per cominciare
A chiudere l’evento, CUOA ha consegnato alla Faculty un “patto educativo” scritto e firmato. Un documento che impegna i docenti a mettere al centro etica, trasparenza e sperimentazione continua. Perché l’AI non diventi un gadget da slide, ma uno strumento vivo, utile, responsabile. Un alleato di chi insegna, non un surrogato.
Il mercato è pronto: l’AI per la formazione passerà da 5,88 miliardi di dollari nel 2024 a oltre 32,27 miliardi entro il 2030, con un CAGR del 31,2%
(Fonte: Grand View Research).
Ma la tecnologia, da sola, non basta. Serve capitale umano che sappia usarla con intelligenza, sensibilità e senso critico. Faculty come quella del CUOA mostrano che è possibile.
La strada è segnata. Bisogna solo iniziare a camminare.