Tre lezioni che ho imparato gestendo team per l’innovazione in Smart Working

Sono state settimane di sperimentazione per tutti. Forse qualcuno era già da anni abituato a forme di lavoro da remoto. Esperienze più o meno riconducibili al concetto di Smart Working. Anche in questo caso però non aveva di certo sperimentato una situazione così pervasiva e vincolante. Per la maggior parte invece è stata una condizione del tutto nuova.

Abbiamo così avuto la necessità di gestire situazioni mai viste prima. E come sempre in questi casi è stata una grande opportunità. Su diversi piani.

Nuovi strumenti e nuove interazioni

Da una parte abbiamo avuto l’occasione di prendere pratica con piattaforme digitali per conferenze video e webinar. E poi soluzioni le più disparate per meeting in cui condividere audio, video e presentazioni. E ancora chat, board visuali, survey e sottogruppi di lavoro.

I protagonisti digitali sono stati Zoom, Teams, Adobe Connect, Google Hangouts, Cisco Webex, GoToMeeting e GoToWebinar, ma anche Skype e Whatsapp. E poi Miro e Mural per lavorare insieme con visual board e post-it virtuali. Per non dimenticare le dirette su Facebook e Instagram, emuli tutti noi perlopiù impacciati di Monty.

Esperimento

Oltre le piattaforme

Ma imparare a gestire le diverse interfacce e i tool di collaborazione a esse connessi è solo una parte di ciò che abbiamo appreso. Come sempre la tecnologia digitale è da una parte un abilitatore di comportamenti nuovi, dall’altro un amplificatore e acceleratore di processi relazionali.

In questo senso i vari strumenti che ho elencato (e che non esauriscono la lista a nostra disposizione) sono solo la premessa per altri aspetti forse più importanti.

Si tratta di quelle nuove condizioni di relazione che questa esperienza ha fatto emergere. Gruppi di lavoro che si trovano a collaborare con una mediazione nuova, in cui ogni persona del team si scopre con uno schermo che la separa dagli altri. E questa separazione non è solo fisica.

La mia grande opportunità

In tutto questo riporto la mia personale esperienza che si basa su un progetto che si è sviluppato proprio in queste settimane. Cento persone coinvolte. Dieci team di lavoro che in parallelo sviluppano un percorso di innovazione nel proprio mercato attraverso una serie di sessioni online. Non importa la piattaforma, che in questo caso non fa la differenza.

Raccolgo alcuni spunti che indagano le condizioni per far funzionare un’esperienza così complessa, ma allo stesso tempo innovativa e aperta. Lo faccio evidenziando tre aree che costituiscono un ambito di riflessione tutta da espandere attraverso l’esperienza degli altri.

team di lavoro

1. Empatia impossibile?

Il primo aspetto che ha caratterizzato queste esperienze è stato in realtà un timore che mi portavo dietro da letture e influenze accademiche. Nutro una certa perplessità verso certe uscite di filosofi non del tutto a proprio agio con la modernità dell’infosfera. Agamben su tutti, ma non solo lui.

In realtà già un sociologo come Richard Sennett aveva sollevato alcune obiezioni alla possibilità di sviluppare un’esperienza relazionale online che permettesse una reale empatia tra i partecipanti.

Ciò che più impedisce, dal mio punto di vista, di costruire una relazione dialogica ed esplorativa tra le persone coinvolte nel lavoro a distanza, è la mancanza della possibilità di interpretare postura, gesti, movimenti, espressioni e mimica delle altre persone. La comunicazione non verbale, così essenziale in un ufficio o in una fabbrica, in un’aula di formazione o in una sala conferenze, viene a mancare.

Ma è vero? Non del tutto. Qui la parte più problematica della mia esperienza è diventata progressivamente un momento di apprendimento. Quello che sono riuscito a fare è stato costruire un contesto per stimolare quei feedback altrimenti scomparsi.

E come sempre, è questione di stile. Come spiegano bene i Baustelle alla fine di Un Romantico a Milano.

Chiedere nei giusti modi di attivare, almeno nella prima fase e finché l’alibi della banda non faccia capolino, il video per dare “una sfumatura più umana” al confronto. Invitare, sotto le quindici persone e salvo presenza di cani ululanti e bambini in lacrime, lavori in corso e lavastoviglie in azione, a lasciare i microfoni aperti. Permettere di interrompere gli altri, seppur con le giuste maniere (anche alzando la mano con i tool presenti in tutte le piattaforme).

board

C’è un Galateo nuovo, tutto da scoprire, che rende comportamenti inaccettabili in presenza, decisamente utili online.

Introdurre i confronti con delle attività ludiche cha aiutino a scoprire le carte facendo intervenire tutti e creando anche un senso di competizione che costruisce un primo elemento di esperienza comune. Ecco. Costruire passo passo un’esperienza attraverso un canale digitale, richiede mestiere. Mestiere che si apprende con diecimila ore di pratica e con un po’ di creatività.

Infine cercare di attivare passaggi in cui tutti siano obbligati a dare un feedback. La partecipazione opzionale consente ai timidi e ai disinteressati di nascondersi. Il problema non è che vogliamo obbligare tutti a dire la propria. Di opinioni squinternate nel mondo online ne abbiamo anche troppe 🙂 Il problema è che proprio quelli a disagio in questi ambiti e che si nascondono di fronte alla nuova interfaccia, hanno spesso qualcosa di importante da dire. E sarebbe un grande spreco non sentire la loro voce.

2. La solitudine dell’innovatore

Le attività che ho messo in campo sono legate a un processo di innovazione. Se già l’interfaccia digitale mostra i limiti della possibile mancanza di empatia e comprensione del punto di vista degli altri, il processo di innovazione diventa ancora più complesso.

Parto da una premessa che vale in ogni condizione. L’esame del background, la definizione del problema, l’analisi della sfida e della situazione corrente sono tutte attività che funzionano bene con un team eterogeneo. I diversi punti di vista aprono. Divergono, come si direbbe nel Design Thinking. Sono quelle situazioni in cui la lezione di Olivetti e lo stile di Facebook vincono. Team eterogenei sono essenziali in sessioni di Action Learning o in analisi del Background in un A3 del Lean Thinking. Il Pizza Man è la figura di riferimento in queste situazioni. Con le accortezze descritte nel paragrafo precedente, tutto questo può esaltarsi nel confronto digitale.

La fase di convergenza è diversa. È la fase in cui si chiude su delle idee. La generazione di idee è spesso un processo individuale. Nasce da ispirazioni e dal sedimentarsi delle tante informazioni raccolte precedentemente. Bisogna lasciare il tempo per un pensiero autonomo del singolo partecipante. Alcuni hanno spiegato che il momento ideale per farsi venire un’idea è a cavallo tra quando chiudiamo la doccia e quando arriviamo davanti allo specchio del bagno 🙂

Ci sono diverse opzioni per costruire questa condizione. La più semplice è spezzare un percorso che sarebbe durato un’intera giornata in tante brevi sessioni online. È una soluzione con diversi vantaggi. Il primo è che due ore online equivalgono come sforzo di concentrazione e intensità dei contenuti a quattro o sei ore in presenza. Tutti i micro momenti che riempiono uno spazio relazionale fisico scompaiono. E ogni istante diventa pregno di significato e contenuti. Difficile da reggere per molto tempo. A rischio di inserire momenti di rallentamento non sempre ben gestibili a distanza.

muro

Ovviamente spezzettare i confronti in tante brevi sessioni ha pro e contro. Si interrompe comunque un percorso che dovrebbe essere continuativo. Si aggiungono complessità nella gestione delle tempistiche e spesso nell’ottimizzazione delle ore di lavoro dei professionisti coinvolti. D’altra parte abbassa l’esigenza di tempo e facilita l’agenda di altri partecipanti.

Un’opzione di questo tipo, che vedo scelta dalla maggior parte dei team, richiede una nuova continuità attraverso task espliciti che i partecipanti dovranno svolgere indipendentemente tra un meeting e il successivo. Senza questa liaison si rischia un’inefficienza grave nell’intero processo di innovazione. Quei task sono proprio legati ai momenti individuali di generazione di idee che ho descritto precedentemente.

Niente impedisce di inserire queste fasi individuali interrompendo il meeting e lasciando alcuni minuti per svolgere il task da soli. Funziona, ma ha controindicazioni. Si perdono momenti in cui si avrebbe l’opportunità non scontata di poter lavorare insieme. Si torna a lavorare con una puntualità non sempre rispettata perché quei minuti di sosta danno l’occasione per prendere telefonate e attivare chat parallele che non finiscono sempre in tempo.

Ad ogni modo la cura del momento creativo ha bisogno di una tempistica tutta peculiare al contesto digitale e anche qui diverse esperienze possono portare a diverse soluzioni. Ma per tutti vale la pena ragionare su questo aspetto ancora al momento della progettazione delle sessioni di lavoro.

3. I tool digitali e la creatività

Ultimo aspetto che si è manifestato chiaramente durante queste sessioni è stato quello della condivisione delle informazioni. E del ruolo del leader (consulente, responsabile del progetto, formatore) nel “guidare il traffico”. Serve curare con grande attenzione la traduzione dei contenuti. tipicamente condivisi dai partecipanti in sessioni fisiche nei corretti media messi a disposizione delle piattaforme. Qui il rischio è di voler utilizzare i tool per il semplice fatto che esistono e danno un’impressione di innovatività.

Il leader che guida l’incontro deve prima di tutto progettare come far emergere al meglio i contenuti che i partecipanti possono portare. Aggiungere l’obbligo di imparare a inserire post-it virtuali su uno schema condiviso crea frizioni non auspicabili. Meglio gestire il board autonomamente e far parlare i partecipanti?

Come regola generale mi rifaccio a una considerazione sempre usata in relazione a qualsiasi strumento che utilizzo per far collaborare le persone. Il vincolo (che sia un canvas per il business model, un keynote in una presentazione commerciale a altro) è utile solo per aiutare a generare idee. La creatività è stimolata da vincoli. Lo insegna Michelangelo. Lo insegna Lars Von Trier.

michelangelo

Se non è utile a creare quella difficoltà tecnica che attiva un atto creativo, il vincolo è solo un freno. Con questa regola in testa si può facilmente capire quando sia il caso di introdurre i più strabilianti strumenti di collaborazione che l’inesauribile dinamica dei nuovi tool digitali ci propone.

Conclusioni

Non ho esaurito un tema importante e complesso. Ho cercato di evidenziare alcuni ambiti di progettazione quando si attivano momenti di innovazione attraverso un lavoro in team da remoto. Un tema che può apparire specifico, ma che a mio parere ha un valore più esteso perché le pratiche necessarie per costruire valore in un contesto lavorativo a distanza sono ancora tutte da inventare. L’errore sarebbe fermarsi a considerare solo le feature messe a disposizione dalle piattaforme tecnologiche. Quello che oggi è prioritario è progettare le relazioni nel contesto di lavoro digitale.

By stefanoschiavo