Inizia la Danza. Cosa ci insegna l’Agile per la fase 2 della crisi

In questa quarantena, l’impressione è che tutto sia nuovo, ma allo stesso tempo è come se tutto sia stato già visto. Gli interventi che leggiamo sui media esprimono i pensieri di ognuno di noi rinchiusi nelle nostre case. Ci si sente come immersi in un traballante e consolante “spirito del tempo”. Ritroviamo le nostre paure e le nostre speranze. E così ci sentiamo parte di una stessa comunità culturale.

“Riaprire subito!”, ma con juicio

Eccoci allora di fronte, in questi giorni, a una serie di contributi che cominciano a chiedere passi verso la riapertura e la normalizzazione, foss’anche diretta a una condizione di nuova normalità (new normal).

Gli interventi sono ancora timidi, consapevoli che basta una parola in più per rendere ostili tante persone giustamente impaurite dal virus.

Si interrogano sulla famigerata fase della Danza, che seguirà quella del Martello, come ci ha raccontato Davide Corona in un brillante post.

Quanti modi di danzare ci sono?

Gli interventi sono tanti.

Stefano Micelli su Il Sole 24 Ore chiede di attivarsi dal basso per ricostruire un tessuto connettivo che non può solo aspettare grandi piani dal centro. Non fa per noi. Non ci appartiene quella cultura della pianificazione accurata. Dobbiamo trovare la forza di muovere i primi passi fuori dal torpore domestico attraverso iniziative che mettono insieme energie distribuite. A piccoli passi progressivi. Come piace agli innovatori del Design Thinking, dell’Agile management.

https://bit.ly/3bRpPM7

Il cinismo degli imprenditori?

Una di queste iniziative è quella di Filiberto Zovico e di Nicola Gianesin che hanno chiamato all’appello imprenditori che stanno affrontando la gravosa chiusura delle proprie attività. Nelle loro voci si è sentito l’accorato appello ad azioni meno indistinte.

Chiedono che venga riconosciuta la loro capacità di costruire ambienti di lavoro che garantiscono la sicurezza delle persone coinvolte. Perché serve tutelare la salute attuale, ma bisogna tenere in considerazione anche gli effetti futuri di questa stasi.

Giulia Svegliado ha fatto un intervento davvero intenso e appassionato che mostra quanto lontana dalla realtà sia quell’accusa di “avidità” rivolta agli imprenditori che chiedono di lavorare (in sicurezza massima). Propone concretamente di attivare una fase di monitoraggio dei dipendenti che rientrano al lavoro. Tamponi e altre misure necessarie, a carico dell’impresa. Con la solita regola della sicurezza prima di tutto, ma anche con l’auspicio di ripartire al più presto.

Iniziative dello stesso tipo sono quelle dei Fab Lab che stampano in 3d le valvole che mancano negli ospedali.

Oppure quelle di Campustore che forma migliaia di insegnanti a tenere lezioni online.

Ovviamente lo slancio per passare dal Martello alla Danza può essere frainteso. E come sempre in questi casi, lo è. Le richieste di riapertura possono sembrare qualcosa di apparentemente cinico. The Economist ha trattato brillantemente la questione.

https://econ.st/2JEA8aj

La ricerca del compromesso

Il governatore di New York, Andrew Cuomo, ha dichiarato che “Non daremo un valore alla vita umana”. È la voce di chi non vuole compromessi. Tutti vanno salvati. La scienza però ci spiega che, di fronte a un problema statistico, non ci troviamo mai di fronte al “tutto o niente”. Il compromesso fa parte della risoluzione. La fase 2 sarà anche una ricerca di compromessi.

Quante vittime ci saranno per la mancanza di risorse economiche nei prossimi anni? Qual è il compromesso giusto?

C’è un approccio all’innovazione nel business che ci aiuta in questo. Quando si deve valutare l’efficacia di un progetto, lo si fa sperimentando. E in questo sono fondamentali due aspetti

  • l’impatto da misurare
  • il compromesso da raggiungere

In The imitation Game, Benedict Cumberbatch interpreta Alan Turing. In un episodio inventato, il protagonista si trova a decidere se salvare una nave attaccata dai nazisti in cui c’è suo fratello. Ma questo comporterebbe rivelare ai nemici la conoscenza dei loro codici di comunicazione. Sacrificando molte più vite in futuro.

È la classica situazione descritta in Against Empathy. La troppa vicinanza rende il giudizio miope. E le scelte apparentemente umane di oggi potrebbero essere lette come inumane tra qualche tempo.

Non vorrei proprio essere nei panni dei decisori che gestiranno la fase 2. Perché la prima, il Martello, era “senza se e senza ma”. Il problema era l’esitazione, semmai. La Danza sarà diversa. Le decisioni possibili saranno molte.

E sicuramente un equilibrio andrà trovato a un certo punto. Misure che riducono il danno senza annullarlo. Nessuno ha vietato la vendita di macchine anche se esistono incidenti automobilistici. Abbiamo però reso le macchine e le strade più sicure e adatte a velocità che non sono quelle di cento anni fa. Sarà questa la Danza?

La lezione dell’Agile

Torno all’idea di una fase 2 di piccoli passi che accompagnano il dispiegarsi della Danza. È un’idea che piace, che sembra far leva sulle energie dei singoli. Che non aspetta i tempi macchinosi della burocrazia. Che non attende un piano quinquennale perfetto. Che non arriverà mai. E poi lo sappiamo. Done is better than perfect.

L’Agile management ci ha insegnato questo percorso frugale, progressivo, dal basso. Ne conosciamo la cultura e i metodi. Sappiamo anche come rendere questo approccio funzionante. E qui sta la differenza tra la speranza e la concreta realizzazione.

I diversi piccoli team che gestiscono autonomamente i progetti agili non sono del tutto autonomi. Hanno spazi di confronto e condivisione. In cui possono alzare la mano e sollevare questioni risolvibili solo da un punto di vista più alto. Si risale la gerarchia per risolvere problemi insormontabili. O per condividere esperienza di successo.

Emerge un fallimento sistematico nell’assorbire le informazioni esistenti e di agire rapidamente ed efficacemente sulla base di esse. Questo ancor più più che una completa mancanza di conoscenza di ciò che doveva essere fatto.

Lessons from Italy’s Response to Coronavirus, Harvard Business Review

L’Agile e la fase 2

Fingiamo che davvero Lombardia e Veneto abbiano avuto due comportamenti dissimili. Fingiamo che la Lombardia abbia lavorato male e che la situazione sia sfuggita di mano. Fingiamo che il Veneto abbia invece gestito meglio il dispiegarsi degli eventi.

Cosa ne dedurremmo? In futuro vorremo più o meno federalismo? Meglio uno Stato centrale che, dando regole di riferimento, impedisca che il singolo faccia errori esiziali? O meglio un federalismo ancor più spinto che permetta di far emergere il modello migliore?

Ci sarebbero argomenti a favore di entrambe le scelte.

La risposta sta nella capacità di collaborare. Al piano quinquennale non crediamo. Preferiamo avere team più piccoli. Regioni, Comuni, Aziende, famiglie e singoli individui. Averli tutti coinvolti in uno sforzo singolo che possa avere un effetto sull’intera comunità.

Ma l’Agile insegna che questo deve avvenire con meccanismi di coordinamento che possano trasmettere le best practice. Che possano far condividere competenze ed esperienze. Altrimenti la Sindrome del Palio di Siena di Roberto Bonzio sarà in agguato.

I Fab Lab che hanno lavorato sulle maschere da sub di Decathlon sono stati capaci, in modo agile e pervasivo, di coordinarsi dal basso. Avevano i social, avevano i mezzi per lavorare in piccoli team e poi di coordinarsi e confrontarsi in Rete. Avevano un modus operandi snello collegato a un mindset agile.

Conclusione

Nella fase 2, sarà necessaria una visione complessiva che spetta al Governo e ancor più in campo economico a Unione Europea e altri organismi sovranazionali. Accanto a questa visione serviranno tanti danzatori che renderanno la coreografia qualcosa di unico.

Così l’appello di Stefano Micelli potrà trovare un terreno fertile per svilupparsi. Un terreno che fa del confronto e della collaborazione il perno per un cambiamento vero. E che soprattutto che non veda accendersi rivalità e scontri tra i diversi protagonisti della ripartenza. Che sappia valorizzare tutte le esperienze e soprattutto gli errori che, in una fase di profonda incertezza, tutti facciamo. Così come ci insegna il movimento Agile.

By stefanoschiavo