A fine pandemia, lasciamo la formazione in digitale

Quando si pensa al futuro della formazione aziendale, c’è un chiaro rischio. Quello di partire dall’idea di una classifica di canali. Che nasce da un ragionamento di questo tipo. C’è un tipo di formazione ideale in cima al podio. E poi vengono man mano tutte le altre.

  • Primo e ideale è trovarsi in uno spazio fisico. Tutti insieme, senza mascherina. Guardarsi negli occhi, parlarsi, stringersi le mani e bere un caffè insieme. Fare networking. Dal vivo. Poi, se proprio si deve, viene il resto.
  • Eventualmente ci si trova online, comunque in diretta. Tutti coi video accesi, con la possibilità di interagire. Qualche uso intelligente di slide e Miro. Alcune battute iniziali per stemperare il disagio della condizione. Del non potersi stringere le mani.
  • Poi a calare ci si trova anche con qualcuno senza video acceso e in muto. Chissà se sta ascoltando? Gli faccio una domanda mostrando una certa sfiducia? Rischiando che non risponda e portando imbarazzo in tutto il gruppo? Meglio lasciarlo in pace e non disturbarlo.
  • Si arriva quindi al caso di tanti partecipanti, con il 90% senza video e audio accesi. Parliamo sperando che stiano attenti. E vediamo che succede.
  • Ma a quel punto, sai cosa? Magari registriamo la lezione su Loom, lasciamo il link su Teams e incrociamo le dita che qualcuno, interessato dal titolo, vada a vedersela. Interazione zero, ma compitino svolto.

Sul podio la vita reale, poi il confronto da remoto, infine l’esperienza individuale in spazi digitali. Ma questa lettura gerarchica a mio parere è errata e ci porta fuori strada. Nasce dall’idea che siamo costretti a tutto questa per colpa della pandemia.

Un’impostazione sbagliata

È sbagliata prima di tutto perché ho visto gente divertirsi, ingaggiarsi e anche entusiasmarsi in confronti online o guardando un video scaricato su Youtube e altri dormire della grossa in un’aula davanti a un docente che parlava da un’ora di ingaggio e comunicazione.

È sbagliata perché l’elenco che ho fatto non mostra una sequenza di spazi di interazione progressivamente degradanti, ma di canali di comunicazione diversi e adatti a diverse circostanze. È falsa cioè perché ognuna delle modalità che ho descritto prima si adatta bene a particolari tipologie di formazione.

Ma quali sono i fattori da considerare per costruire il giusto mix di una formazione davvero blended?

Chi partecipa?

Start with People. Partiamo dalle persone. Poi vedremo i contenuti. Se i partecipanti non si conoscono. Se anche provenendo dalla stessa organizzazione, non lavorano mai insieme. Se hanno lavorato solo online e saltuariamente. Se serve creare un’intimità e una relazione utile alla miglior esperienza durante il percorso formativo. Beh. In questi casi meglio partire da un incontro fisico.

  • Creare empatia e complicità. Far nascere un senso di appartenenza a un gruppo. Un gioco per rompere il ghiaccio. Quelle cose tipo gli Snowflakes o l’Obelisco di Zin. Un bel debriefing. Momenti di confidenza in cui sbilanciarsi un po’ (non troppo) e condividere pensieri con gli altri. Aprirsi un po’ per chiedere e dare fiducia. Poi tutto sarà più semplice e di valore.
  • Anche se c’è un intento più pragmatico come “sfruttare il momento formativo per conoscere altri” e “costruire una rete relazionale” siamo in una situazione che chiede almeno un kick-off in presenza. Se si vuole approfittare di un periodo da passare insieme per fare networking e aprire qualche opportunità professionale, c’è bisogno della pausa caffè, delle chiacchiere prima o dopo la sessione, del pranzo insieme o della serata nel caso di più giorni.
  • La formazione in presenza costituisce anche una buona scusa per andare in qualche sede meno frequentata per aziende con diverse location. Spesso ho visto partecipanti di sedi più periferiche gioire alla possibilità di esplorare e conoscere l’headquarter e guadagnare un’aura metropolitana “sprovincializzandosi” un po’. Anche così si crea spirito di appartenenza.

Poco altro…

Altri motivi che rendono imprescindibile la presenza fisica? Salvo qualche eccezione, non li vedo riconducibili ad aspetti relazionali tra le persone. Dopo un bel po’ di esperienza online, sono abbastanza convinto che anche davanti a uno schermo si possano “incollare” i partecipanti. Ci sono modi per attivare una discussione accesa, ma costruttiva. Per provocare reazioni dei più timidi. Per entusiasmare, divertire, appassionare i partecipanti.

È una questione mestiere. E se non funzionano, il problema è spesso dovuto a formatori che non riescono a esprimersi su quel mezzo. Un po’ come è avvenuto per quegli attori del cinema muto che non sono riusciti a riconvertirsi al sonoro. Legittimo, ma non si può dare la responsabilità al sonoro. O chiedere di tornare al muto.

Questione di contenuti

Il secondo fattore che fa la differenza nell’impostazione di un percorso formativo è ovviamente legato al tipo di contenuti che si vogliono trasmettere. Anche qui è chiaro che le competenze delle persone sono un mix di “skill e capacità” e di “comportamenti e attitudini”. In questo senso non si può presidiare solo cosa viene raccontato, ma bisogna verificare la capacità di portare a terra la conoscenza acquisita in comportamenti coerenti e stili adeguati.

E allora bisogna capire se sia necessario vedere le persone all’opera e introdurre elementi esperienziali e progettuali nel percorso. Anche qui però, dopo un bel po’ di ore spese in percorsi di accompagnamento trasformati in progetti applicativi, il digitale non è quasi mai un vincolo.

Anche nel caso di una formazione che diventa più un workshop e quasi una consulenza. In percorsi che si applicano ai contenuti reali quotidiani dei partecipanti, non esiste una forte differenza tra digitale e fisico. E anzi…

Anzi…

Devo dire che le evoluzioni degli strumenti di visual collaboration che abbiamo in parte scoperto in questi anni mi ha confermato una preferenza per workshop condotti davanti a uno spazio di collaborazione digitale. Ovviamente ci sono delle regole del gioco.

  • Tutti connessi dall’inizio alla fine.
  • Ognuno davanti al suo schermo, possibilmente isolati dal resto dell’azienda.
  • Tutti liberi di parlare ed esprimersi.
  • Non disturbabili e con il video acceso.
  • Con una connessione ovviamente all’altezza.

Invertire il flusso

A quel punto interagire su una board digitale può essere davvero qualcosa di altamente efficace. Permette di creare insieme, di schematizzare, di allinearsi e confrontarsi apertamente. Ancor di più permette di gestire le attività in cui il flusso della conoscenza si inverte. Anziché un docente che trasmette il suo sapere ai discenti, c’è un professionista che raccoglie il sapere distribuito tra i partecipanti e lo mette a fattor comune. Fa le domande giuste. Raccoglie e confronta le risposte. Estremizza certi argomenti per vedere se reggono lo stress. Apre a diverse prospettive. Valorizza le voci più deboli. Sfida le più forti. Anche qui, mestiere e stile.

Il percorso di formazione così inteso diventa un percorso progettuale. La flessibilità e la dinamicità di un lavoro davanti a un board ha dimostrato una superiorità del confronto in digitale (con le regole dette sopra). Ma sono curioso di capire, a normalità ripristinata, se HR e Training manager saranno capaci di capire che non sempre vedersi di persona è meglio. Sarà una sfida da vincere.

I veri obiettivi

Quanto detto finora mostra come la preferenza per diversi canali di comunicazione dipenda dalle relazioni tra le persone e dai contenuti da erogare. Ma sommando i due fattori direi che dipende dalla finalità della formazione.

Un buon progetto parte sempre dal Why. Dagli obiettivi trasformazionali che lo determinano. Da dove partiamo e dove vogliamo arrivare? Cosa ci aspettiamo avvenga? Cosa dobbiamo permettere che avvenga poi, a formazione conclusa?

Il mix di canali è solo un’opportunità, ma consideriamoli come ingredienti. La ricetta costruiamola di volta in volta. Senza dare preferenze predefinite. Che potrebbero nascondere bias pesanti.

Un futuro da inventare

Se lo spazio di formazione digitale perde la sua etichetta di “seconda scelta se proprio non se ne può fare a meno”, serve comprenderne meglio la natura e la funzione. In particolare serve definire l’esperienza e le tempistiche di accesso agli spazi digitali di formazione. Un bel libro di Franco Amicucci racconta nei dettagli tante iniziative e fa sintesi di molti possibili approcci.

Aggiungo che alcune dimensioni di valutazione sono a mio avviso in grande evoluzione. Qualche spunto finale.

  • Le aziende hanno bisogno di dare continuità tra spazio di lavoro (sempre più digitale) e spazio di formazione (sempre più digitale); mi devo muovere da Teams a un futuribile Metaverso educativo senza che questo appaia come un’interruzione del lavoro.
  • Allo stesso modo deve essere seamless la formazione in presenza con quella sincrona online e con gli spazi di approfondimento, self assessment, sedimentazione digitali.
  • Quel che si fa online deve ricadere nella propria quotidianità sempre in ragione di quella continuità tra formazione e lavoro di cui sopra; in questo senso i contenuti devono adattarsi alle priorità di business ed essere in grado di evolvere in funzione degli interessi in cambiamento delle persone.
  • Serve ingaggiare le persone dell’azienda non solo come fruitori di formazione, ma anche come parte integrante dei creatori di contenuti specifici su topics correlate al business.

Sono solo alcuni degli spunti che spero possano essere utili per tutti quelli che, come me in questi mesi, stanno interrogandosi sul futuro della formazione aziendale. Sono curioso di sentire le opinioni di tutti.

By stefanoschiavo